Caruso alla Vuelta fa un’impresa da film western
DOVE SERGIO LEONE GIRAVA I SUOI FILM DAMIANO SI REGALA IL TAPPETO ROSSO
Alto de Velefique nel deserto dell’Andalusia Impresa del ragusano dopo 71 km di fuga
Damiano Caruso parla subito di sofferenza. È la prima cosa che ci dice. «Io sono abituato così: quando ho fatto qualcosa di buono è sempre stato attraverso la sofferenza, il portare al limite me stesso e tutti quanti gli altri». Ed effettivamente a noi il ciclista della Bahrain-Victorious ieri sembrava un tutt’uno col sofferente verde che lo circondava salendo per l’Alto de Velefique, cucuzzolo spelacchiato che torreggia sul deserto di Tabernas, quello degli spaghetti western. Lì Sergio Leone andava a girare i suoi grandi film, e a Tabernas, nel villaggio western rimasto intatto da allora e sempre visitatissimo, ancora oggi vive un figlio illegittimo di Henry Fonda. Non c’è bisogno di esami del Dna, il signore spagnolo che gestisce il saloon e gira con pistola e cinturone è uguale al padre che nel 1968 venne da queste parti a girare ‘C’era una volta il West’. «Ah, non lo sapevo – dice Damiano –. Effettivamente mi sembrava di pedalare in una specie di deserto. Non pensavo fosse quello caro a Sergio Leone».
Che attacco Il sofferente verde che ha accompagnato il nostro Caruso di Ragusa è tosto, indomabile, abituato a duelli al sole contro le pietre grigie, la calura bestiale e l’assenza di acqua.
Gli alberi delle montagne di Almeria, profondo sud della Spagna, lottano da secoli contro elementi ostili. Damiano ieri ha lottato da solo contro il gruppo. Una fuga cominciata presto con diversi altri avventurieri e proseguita in solitario dopo un attacco a 70,8 chilometri dall’arrivo, che poteva essere velleitario considerati dislivello, caldo e avversari. E che invece è stato trionfale. «Settantuno chilometri sono lunghi lunghi lunghi – dice contento Damiano –. Sono andato via da solo perché l’Ineos di Bernal stava tirando forte e volevo provare a fare la mia azione prima che ci riprendessero. Non pensavo di poter arrivare in fondo sinceramente, l’obiettivo era quello di scollinare la salita che stavamo facendo, però stavo bene e ho spinto. E mi sono sorpreso, perché via radio mi dicevano che il vantaggio invece di diminuire aumentava. Ai 10 chilometri mi son detto, ‘Damiano, vediamo di pasta sei fatto’. Ero stanco, ma ho pensato che lo fossero anche gli altri. Sì, ho fatto una cosa incredibile».
Ottimo passo Vestiamo con qualche numero questa cosa incredibile. Era una tappa di 188 chilometri, con quasi 4600 metri di dislivello spalmati su tre salite, più quella finale, la serpentina al sole che sale all’Alto de Velefique, 13 chilometri interminabili con pendenza media del 6,4% e punte del 15% per arrivare a 1800 metri di quota. «È stata una salita eterna – conferma Caruso – non finiva più. Ero contento per come avevo affrontato le discese e per il passo che avevo tenuto fin lì, quella sì che è
Lo scenario
I capolavori del regista, come “C’era una volta il West”, sono nati qui vicino a Tabernas
Sono così: faccio qualcosa di buono solo attraverso la sofferenza
Lo spirito è lo stesso che avevo al Giro. Io corro per divertirmi Damiano Caruso 33 anni, pro’ dal 2009, 4 vittorie
Le difficoltà
Era una tappa da 4600 metri di dislivello con arrivo in salita: ora Caruso è a 5’35” da Roglic
una cosa che so fare bene. Così anche sulla salita finale non pensavo ad altro che al mio ritmo, a cercare di mantenerlo costante. Solo a due chilometri dalla fine ho realizzato che potevo vincere». Successo che doppia quello dell’Alpe Motta al Giro d’Italia, chiuso al secondo posto nella generale alle spalle di Bernal in rosa. Qui alla Vuelta Damiano al momento è 15°, tra Fabio Aru e il compagno Mikel Landa, ieri entrambi staccati. In compenso Caruso si è preso la maglia a pois del leader della montagna: ha 28 punti, 6 in più di Bardet (che era con lui all’Alpe Motta e con Damiano ha iniziato la fuga di ieri) e 12 in più di Sivakov. Erano 4 anni che un azzurro non vestiva la maglia dello scalatore, Villella 2017, e 3 anni che non vincevamo una tappa alla Vuelta, De Marchi e Viviani (tripletta) nel 2018.
Feeling «Incredibile è anche il feeling che sento da quando è cominciato il Giro», dice Damiano. Che dopo la sofferenza cita il divertimento. «Da un paio d’anni io corro per divertirmi. Senza grandi pensieri, per il piacere di stare in gruppo, godermi la professione e disputare grandi corse». Beh, gli facciamo notare che divertendosi ha chiuso il Giro a 89 secondi da Egan Bernal, un altro dei tanti che ieri ha staccato. Damiano ride: «L’ho detto, lo spirito è lo stesso che avevo al
Giro. Divertirsi evidentemente fa bene». E gli obiettivi? «Vivere alla giornata. Ha ragione Roglic quando dice che la Vuelta è appena cominciata. Non che sinora non si sia sofferto eh?, proprio no. Ma la prossima settimana ci saranno grandi salite, e di conseguenza la possibilità di dare e ricevere grandi distacchi. Io voglio riprendermi da questa impresa e magari riprovarci. Sinceramente tra un nono in classifica senza altre vittorie e il quindicesimo attuale abbinato a un nuovo trionfo di tappa scelgo la seconda opzione. O perlomeno oggi mi sento così, poi più avanti vedremo». Tra divertimento e sofferenza, Damiano Caruso, 34 anni ad ottobre, non si pone limiti. Fa bene, del resto anche Sergio Leone si divertiva un sacco sulle montagne di Almeria.