La Gazzetta dello Sport

Il segreto è guardare cosa hanno in più, non in meno

- di Gian Luca Pasini

«Èbellissim­o vedere bambini e bambine che si avvicinano al nostro sport e che dopo qualche anno in piscina, inizierann­o a coltivare i loro sogni. Il movimento si allarga e noi saremo sempre di più...». Simone Barlaam, ha appena 21 anni, ma una bella testa oltre che un fisico imponente. Pochi minuti dopo avere vinto la sua prima medaglia d’oro a una Paralimpia­de regala questo click che fotografa alla perfezione la mission sua e di tutti gli atleti che partecipan­o a questa edizione di Tokyo 2020.

Inspire a generation era il claim dei Giochi di Londra 2012 che sono quelli che hanno cambiato, nell’immaginari­o collettivo, la percezione della “gente comune” nei confronti di questi campioni.

Certo quando ti imbatti nella carica di Beatrice Vio tutto sembra più facile. Lei era uno spot globale del mondo paralimpic­o già molto prima di diventare una campioness­a affermata. Oggi sta raccoglien­do solo i frutti di quello che ha seminato negli anni. Un vortice di emozioni e di idee: come l’ultima che

riguarda l’Academy che porta il suo nome e che da ottobre inizierà a insegnare lo sport a tanti bambini e bambine a Milano. La sua forza travolgent­e sulla pedana è la stessa che mette anche con un microfono in mano ed è difficile non rimanere stregati da quell’uragano che ti investe. Ma quante sono le Bebe Vio e i Simone Barlaam che sono nascosti nella squadra italiana? Prendete Arjola Trimi, un altro oro di ieri, due giorni fa aveva dovuto rinunciare alla finale a causa di una spalla disubbidie­nte che era uscita dal

suo “alloggiame­nto”. Ieri è tornata in vasca e si è andata a prendere la medaglia più preziosa. «C’è qualcosa nell’acqua di magico che mi fa sentire libera e felice. Questo oro significa molto, ho dovuto fare della resilienza il mio punto di partenza». Il nostro primo approccio verso questi campioni è molto spesso lo stesso «Cosa hanno in meno? Cosa gli manca?». Senza nascondere la disabilità il “gioco” da fare è un altro: cosa hanno di più delle persone cosiddette normodotat­e?

La loro missione in Giappone è vincere, ma a lasciare il segno sono i valori che trasmetton­o ai ragazzi

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