Calcio nemico dei numeri? L’avanzata delle statistiche
Ho appena letto che un algoritmo ha stabilito che il miglior giocatore del mondo è Messi davanti a Cristiano Ronaldo. Bella forza: c’ero arrivato perfino io, senza l’informatica. Ma servono davvero queste nuove statistiche sul calcio?
Lauro Steni
Rovescerei il suo assunto, signor Steni: se anche l’algoritmo giunge a quella conclusione significa che funziona, giusto? Il tema è sempre più d’attualità in una disciplina, come il calcio, che sembra l’ultima roccaforte dello sport contro l’assalto dei numeri. Molti, compresi diversi addetti ai lavori, sembrano in realtà godere quando la realtà pare sconfessare le cifre. Come quelle del possesso palla, per esempio. Alcuni, vedi Allegri, ci si divertono proprio, ma non andategli troppo dietro: ricordatevi che è un toscano puro sangue e gode nel fare la parte del bastian contrario. Ma torniamo alle statistiche: sono intervenute a valanga dovunque, per esempio nel volley o nel tennis, che fino a pochi anni fa quasi non le conoscevano. Oggi basta una cifra per capire che cosa soprattutto manca al nostro prodigioso e ammirevole Sinner per avvicinarsi ancora
di più al top: la percentuale di prime palle di servizio. Se salirà dall’attuale 50% o poco più al 60% ed oltre, ogni traguardo gli sarà accessibile. Discipline molto americane come basket, baseball e football si raccontano ormai in gran parte con i numeri alla mano. E non hanno perso fascino.
Ma il calcio ne ha proprio bisogno? Evidentemente sì, perché, che lo sappiamo o no, già adesso gli analisti e gli uomini-mercato fanno le loro valutazioni a partire proprio dalle statistiche.
Non parliamo dei preparatori atletici, che non cominciano nemmeno senza una valanga di dati fisiologici e
sulla prestazione, anche in tempo reale. Consiglio a proposito la lettura di un libro appena uscito: “Rigore di testa. Storie di pallone, paradossi, algoritmi: il calcio e i numeri come non li avevate mai immaginati” (Giunti editore). Lo ha scritto, insieme a Paolo Cintia, Marco Malvaldi, un bel personaggio che passa agevolmente dalla sua vita di chimico ricercatore a quella di scrittore di successo
(la deliziosa serie del Barlume) alla terza, meno nota, quella di impallinato di calcio. Un testo che viaggia leggero fra episodi straordinari e curiosi e l’applicazione dell’informatica al gioco-sport più diffuso e amato del mondo. Ai primi appartiene la partita (ufficiale) più folle della storia, un Barbados-Granada del 1994, dove una delle due squadre nel finale cercò di segnare in una porta “a caso”. E vi lascio scoprire il perché. La seconda è un’immersione in un mondo complesso ma affascinante, che non prenderei mai alla leggera. Del resto il nostro Giorgio Parisi non è arrivato fino al Nobel partendo dallo studio dei movimenti degli stormi di uccelli? Non ditemi che il calcio conta meno. Ci vogliono togliere la poesia del gioco? Nemmeno un po’: gli autori stessi arrivano alla conclusione che
il calcio è metà arte e metà scienza. Ecco, sappiate che la metà scientifica si esprime in numeri, come tutte le leggi dell’universo. Se volete divertirvi di più, imparate a leggerli, senza cadere in nessuna trappola,
come quella che invocava lo scrittore americano Mark Twain: «Esistono tre tipi di bugie: le piccole, le grandi e le statistiche».