Ed ecco il calcio liquido fra buon gioco e infortuni
Franco Arturi
Fatemi capire, perché seguendo i vari opinionisti non ci riesco più: il Napoli era risorto ed è morto di nuovo. Il Milan era cadavere e ha appena rullato l’Empoli rivelazione. L’Atalanta non la fermava più nessuno: infatti. Per non parlare dei campionati a singhiozzo di Juve, Roma, Lazio, etc. E allora?
Sebastiano Zori
E allora, caro amico, siamo immersi in un calcio liquido, precario, instabile, dove i nostri commenti sono da buttare o fanno sorridere nel giro di un paio di settimane. È un fatto relativamente nuovo rispetto alle stagioni pre Covid, quando eravamo abituati, con qualche eccezione, a campionati lineari in cui le tendenze duravano molti mesi, non pochi giorni: una squadra in testa (quasi sempre la Juve), inseguitori definiti. Rari i colpi di scena, i crolli drammatici o le risalite imperiose.
Motivi? Ne vedo essenzialmente due. Primo, la teoria del corto muso, il modo in cui Allegri ha sintetizzato un gioco fondato sull’attesa, con poca propositività e molta speculazione, ha perso tanto terreno nel calcio italiano. Dove ammiri sempre più spesso squadre che si affidano al palleggio, all’aggressione, al
coraggio. Quando mai trovavi, 10-15 anni fa formazioni come Atalanta (ex piccola provinciale), Empoli, Sassuolo, Fiorentina, Verona, magari Venezia e Spezia che nelle giornate giuste mangiano in testa a qualunque top-team? Non parlo di risultati a sorpresa, che ci sono sempre stati, ma di atteggiamento in campo: contro questi avversari devi accettare di ammazzarti di fatica per venirne a capo. E se le grandi sono nella giornata
vulnerabile, saltano per aria. Magari dopo gli stress della coppa. Il secondo è un’evidenza: gli infortuni. La classifica delle giornate perse per incidenti medio-gravi (almeno 4 gare saltate) è molto chiara. Milan e Napoli, le più disastrose nell’ultimo scorcio di stagione, sono fra le più tartassate. Come Cagliari, Genoa, Salernitana, non a caso fra le più deludenti dell’anno. Anche la Juve è dalla parte sinistra di questa
particolare classifica. Che vede l’Inter fra le ultime. Controprova clamorosa, dato che i nerazzurri viaggiano in testa alla Serie A. C’è poi una considerazionechiave, di cui quasi mai si fa menzione: lo stato di forma non è sinonimo di condizione. Quando un giocatore rientra dopo un mese di stop per infortunio muscolare, ha certamente recuperato in allenamento la condizione, ma non la forma, cioè la qualità del suo rendimento, che si riacquista, secondo una regoletta empirica, solo giocando per un periodo lungo quanto la sua assenza, cioè un altro mese, durante il quale gli atleti saranno meno performanti e aggressivi. Trovo un po’ fantasiose e ingenue analisi, per esempio su Milan e Napoli, relative alla loro “perdita di umiltà”. Diciamo che hanno perso purtroppo Leao-Rebic-Kjaer-Calabria e Osimhen-Koulibaly-InsigneAnguissa (e altri ancora). Ed è questo che fa la differenza. È solo il destino cinico e baro che questi incidenti, soprattutto quelli di natura muscolare, tocchino molto di più alcune squadre che altre? Ho dei dubbi in proposito, ma le tecniche di preparazione atletica sono segreti più protetti dei codici rossi nucleari della valigetta del presidente degli Stati Uniti: nessuno può azzardarsi a chiedere o, Dio ci guardi, a metterci il naso.
E tuttavia dubito che questo stillicidio sia effetto soltanto del logorio del calcio moderno.