La Gazzetta dello Sport

«Puntate sul gioco e non sui singoli Senza Van Basten ho vinto lo stesso»

- Di Andrea Schianchi

Tre varianti incombono sulla ripresa del campionato e minacciano di condiziona­rla non poco: la Coppa d’Africa, il mercato e, ovviamente, il Covid. Fare l’allenatore, in questo periodo di estrema incertezza, non è il mestiere più semplice del mondo: ci si deve barcamenar­e tra assenze forzate, voci che rischiano di destabiliz­zare l’ambiente, e poi c’è sempre l’incognita-virus.

3Sacchi, come si può trovare l’equilibrio tra tante difficoltà?

«Rispetto al passato, in più c’è il Covid. La Coppa d’Africa e il mercato ci sono sempre stati. Io credo che esista una sola soluzione: puntare sul gioco e non sui singoli. Ho sempre sostenuto: il gioco è il tuo miglior alleato, non s’infortuna mai».

3C’è differenza, però, tra schierare un titolare o la sua riserva. Non crede?

«La differenza c’è, ma quando hai il gioco, cioè la trama, saranno gli altri dieci ad aiutare la riserva a comportars­i da titolare. Van Basten è stato un grandissim­o, ma lo scudetto lo abbiamo vinto anche se lui è stato infortunat­o per quasi tutta la stagione: gli altri hanno saputo, attraverso l’entusiasmo, la modestia, l’etica del collettivo, sopperire alla sua assenza. Nel 1990 abbiamo vinto la seconda Coppa dei Campioni, e Gullit ha giocato soltanto la finale, e neanche tanto bene».

3Chi può avvantaggi­arsi in questo periodo di ripresa?

«Chi possiede un gioco. Se un allenatore si è sempre affidato ai singoli e questi singoli non li ha, è un guaio. Se, invece, ha puntato sul gioco, ha creato un’organizzaz­ione di squadra, allora può stare tranquillo. Io, quando sceglievo i giocatori, oltre a considerar­e la loro funzionali­tà alle mie idee, guardavo prima la testa e poi i piedi. Ho sempre pensato che i piedi li puoi aggiustare, la testa è più difficile».

3Di fatto, comunque, sarà una ripresa con parecchie minacce.

«La verità è che si gioca troppo, ma non lo si vuole capire. Sapete che cosa si sta facendo? Si sta mungendo la mucca cinque volte al giorno, anziché una sola. Secondo voi, quella mucca può star bene? È lo spettacolo a risentirne, ma finché da questo mondo non vengono allontanat­e quelle persone che ci si avvicinano soltanto per arricchirs­i o per megalomani­a, e non per vero amore, allora le cose non migliorera­nno. Le partite sono belle e la gente si diverte quando si affrontano due squadre che per tutta la settimana si sono allenate, hanno energie nei muscoli, hanno idee in testa. Come si fa quando gli impegni sono così ravvicinat­i?».

3Con il mercato, inoltre, i giocatori perdono tranquilli­tà.

«In questo periodo è necessario che un allenatore abbia alle spalle un club forte, dirigenti che hanno un progetto e lo perseguono. Penso all’Atalanta: c’è un presidente che ha tracciato la linea e da quella non ci si discosta. Il mercato è una tentazione che, quasi sempre, va tenuta lontana: i club, nella maggior parte dei casi, sono indebitati e io che vengo dalla piccola industria so che quando ci sono grandi debiti prima o poi arriva il fallimento. Sarà mica meglio sviluppare delle idee, anziché spendere altri soldi?».

3E poi fare un innesto in un gruppo non è cosa facile.

«Le faccio un esempio: io non volli Borghi che era tecnicamen­te indiscutib­ile. Ma prima di acquistare un giocatore io guardavo la persona, cercavo uomini affidabili. Appena arrivato al Milan c’era un difensore che aveva scambiato la notte per il giorno. Non lo volli. Berlusconi mi disse: “E chi ci mettiamo al suo posto?”. E io: “La sua riserva”. “Ma è meno bravo” obiettò. “Sì, ma è più affidabile - risposi - Lei vorrebbe un collaborat­ore non affidabile? No? E allora perché lo vuole dare a me?”. Il calcio, non mi stancherò mai di dirlo, è un gioco di squadra. I singoli sono importanti, ma prima viene il gruppo. Quindi tutti sono indispensa­bili e nessuno lo è: questo dev’essere il principio».

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