Dakar elettrica Sainz scrive la storia con l’Audi e-tron
Lo spagnolo porta il rivoluzionario prototipo al primo trionfo: «Una sfida vinta»
Ci sono volute solo tre speciali per fare la storia, in una giornata che non solo l’Audi, ma tutto il mondo del motorsport ricorderà. Perché la grande scommessa è vinta, in poco più di un anno la Casa dei quattro anelli è riuscita a portare una vettura spinta unicamente da motori elettrici (due su ciascun assale e uno che funge da generatore, mentre il quarto, termico, serve solo a ricaricare la batteria) non solo in gara, ma anche alla vittoria di una speciale. A riuscirci materialmente è stato quel Carlos Sainz che a 59 anni continua a dimostrare che quando c’è da conquistare qualcosa di importante, lui è pronto a rispondere all’appello. «È un momento speciale, la prima vittoria lo è sempre, ma questa forse anche un po’ di più» dice, e per una volta quel sorriso che spesso è solo un accenno, si allarga a dismisura. Trentuno anni fa, El Matador conquistava il primo dei due Mondiali rally, in seguito sono arrivate anche tre Dakar, ma anche se non pesa come un titolo, questo giorno che gli vale anche la 40ª vittoria di tappa avrà un posto speciale nella collezione di una carriera straordinaria.
Dubbi svaniti
Ancora a poche settimane dal via, il papà dell’omonimo pilota della Ferrari F.1, restava molto prudente sulle capacità di essere immediatamente competitivi con una macchina
tecnologicamente tanto avanzata quanto complicata («La nostra è una sfida enorme, ma è proprio questo genere di sfide che mi fanno andare avanti»), e che invece sin dai primi chilometri si sta dimostrando all’altezza. «Sono felice per me e soprattutto per l’Audi, gli ingegneri negli ultimi mesi non si sono risparmiati. È la dimostrazione della forza di questo Gruppo» non smette di sorridere Sainz, che dopo un lungo inseguimento, alla fine di 255 chilometri ha avuto la meglio per 38” sulla Toyota del sudafricano Henk Lategan.
Tre nei cinque
La conferma, soprattutto, è data dal 3° posto a
1’41” di Stephane Peterhansel, e dal 5° a 2’59” della terza RS Q etron di Mattias Ekstroem. Così, all’arrivo al bivacco, prima che decine di ingegneri sequestrino le tre auto, è festa grande per lo squadrone Audi, che qui ha 80 persone, tra le 28 alle dipendenze della Casa di Ingolstadt e le 52 del X-raid Team di Sven Quandt, il team manager più vincente alla Dakar, l’unico a farlo nei tre continenti, al quale è stata affidata l’organizzazione. «Io sono solo il direttore d’orchestra, la storia l’hanno fatta Carlos e la squadra – gongola questo gigante tedesco di oltre due metri d’altezza -. È un grande sollievo, non sapevo quanto saremmo stati effettivamente
veloci rispetto ai nostri rivali, ma è solo il primo passo».
E nel 2023…
Sì, perché se la prima battaglia è vinta, la guerra è lunga e l’obiettivo dichiarato è quello di fare del 2022 un solido allenamento, per poi tornare qui il prossimo anno e vincere. E per essere sicuri di riuscirci, bisognerà lavorare bene soprattutto sul piano della motorizzazione elettrica, con la parte del software, il cervellone che gestisce tutto, che rappresenta l’anello debole della catena, visto che basta un sensore che registri un’anomalia per rischiare che la macchina si ammutolisca. «Il nostro livello di affidabilità lo scopriremo solo alla fine – conclude Quandt -. Ma se pensiamo a dove eravamo sei mesi fa, ti fa capire che potenza di fuoco sia quella Audi. Gli 8.500 chilometri dei test sarebbero sufficienti per affrontare la Dakar in sicurezza con una macchina normale, ma per la RS Q e-tron, dove le batterie giocano un ruolo fondamentale e molti pezzi hanno una durata di vita molto più ridotta, ne sarebbero serviti almeno il doppio».