La Gazzetta dello Sport

Viola, le cinque Coppe Italia del presidente della svolta

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C’è una linea di demarcazio­ne ben definita nel cuore della tifoseria gialloross­a ed è legata anima e cuore a Dino Viola, il presidente del secondo scudetto e della finale di Coppa dei Campioni, il punto più alto – a livello europeo – della storia romanista. Nonostante quel dolore immenso, nonostante una sconfitta che ogni romanista ricorda ancora oggi come una ferita che continua a sanguinare, perché arrivata nel tempio di casa, l’Olimpico, con un popolo già pronto a far festa. Ieri era l’anniversar­io della scomparsa di Viola, che ha salutato tutti 31 anni fa, il 19 gennaio 1991, a causa di un brutto male che lo portò via a 75 anni. Troppo presto, nessun romanista voleva vivere pensando di poterlo fare senza di lui. Perché, appunto, c’è stata una Roma prima di Dino Viola e una dopo. In mezzo, appunto, quella linea di demarcazio­ne che fa tutta la differenza del mondo per il tifo gialloross­o. Prima di Viola la Roma era solo «Rometta» e una finale di Coppa dei Campioni la vedeva giocare, la sognava, forse la invidiava anche. Dopo no. «Onore a te Dino, che hai trasformat­o la Rometta in una grande squadra», è lo striscione che gli dedicarono i tifosi della tre anni fa. La Roma lo ha ricordato sui suoi account con un primo piano intenso e due cuoricini, giallo e rosso. Perché il suo cuore era griffato di quei colori già da piccolo, da quando andava a vedere la Roma nel mitico campo Testaccio. Il suo amore per la Roma nacque lì, per esplodere poi dopo, quando nel 1970 entrò nel club da dirigente, per poi prenderne le redini nel 1979. Le sue prime mosse furono di quelle che lasciarono il segno. Anzi, un solco nel cuore di ogni tifoso: prima Nils Liedholm («Mi convinse dicendomi che senza di me non avrebbe mai comprato la Roma», disse più tardi il Barone) poi l’anno dopo Paulo Roberto Falcao, il Divino, l’ottavo re di Roma. E arrivarono le vittorie, ad iniziare dallo scudetto del 1982-83, dopo oltre 40 anni di astinenza. Ma Viola vinse anche cinque Coppe Italia, quando il trofeo nazionale aveva un valore molto più alto di oggi. Quattro le festeggiò, l’ultima gliela dedicarono, giunta qualche mese dopo la sua scomparsa, a maggio, contro lo Sampdoria. Anche grazie a quelle vittorie Viola creò la prima vera alternativ­a al potere delle grandi del nord: Milan, Inter e soprattutt­o Juventus, l’avversaria di mille battaglie. Viola e Boniperti erano avversari, ma si stimavano. Quando ci fu l’episodio del gol di Turone, Viola parlò di questione di centimetri e Boniperti gli spedì un righello di quelli usati in campo edile. Viola, ringraziò, ma gli rispose che essendo lui ingegnere e Boniperti geometra, sarebbe servito più al mittente che non a lui. Viola a suo modo era un rivoluzion­ario, un precursore, il primo a pensare ad uno stadio di proprietà (da costruire a Magliana). Quella Coppa dei Campioni se la sarebbe meritata. Lui commentò così: «La Roma non ha mai pianto e mai piangerà: piange il debole, i forti non piangono mai». Sarà, ma quando pensa a lui ogni tifoso gialloross­o una lacrima la versa ancora oggi...

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Nella storia Dino Viola, dal 1979 al 1991 è stato presidente della Roma

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