Addio Calligaris, il pioniere della medicina sportiva
Era un “modellatore di uomini”: seguì l’Inter di Herrera e gli azzurri di diversi sport, da Gimondi alla Valanga Azzurra
Gianni Brera lo soprannominò “Il modellatore di uomini”. E in effetti Alfredo Calligaris, che si è spento ieri mattina all’età di 95 anni a Bergamo, la sua città adottiva, di uomini campioni (e di campionesse) ne ha modellati davvero tanti. Loro - dai calciatori dell’Inter di Herrera, della Nazionale di Bearzot e dell’Atalanta sino a Felice Gimondi, dagli sciatori della Valanga Azzurra agli azzurri dell’atletica e dello sci nautico - lo chiamavano semplicemente “prof”. E assorbirono da quell’uomo elegante ed educato, uno dei padri della medicina sportiva oltre che inventore della figura del preparatore atletico, tanti insegnamenti decisivi per le rispettive carriere. Nato a Rovigno il 29 settembre 1926, lasciò l’Istria con la famiglia sfuggita alle persecuzioni di Tito e, passando da Gorizia, nel ‘61 arrivò a Bergamo per amore dell’adorata Anna. A Rovigno si era abbeverato di sport e di Olimpiade ascoltando i racconti del vicino di casa Silvano Abba, medaglia di bronzo nel pentathlon moderno ai Giochi di Berlino ‘36. Dopo un modesto passato da canottiere, cominciò la sua avventura da protagonista dello sport come professore di educazione fisica e, con i primi guadagni, si pagò il viaggio per andare ad assistere all’Olimpiade di Londra ‘48: da allora, in varie vesti ufficiali, non ne ha saltata una sino a Rio 2016, a cui dovette rinunciare per l’insorgere dei primi sintomi del morbo di Alzheimer.
Con il Mago La sua mente volava alto. A 50 anni si laureò in Medicina dello Sport, a Pavia. Nei primi anni Sessanta, l’atletica e l’Atalanta (quella che nel 1963 arrivò sino alla conquista della Coppa Italia) furono il suo primo “laboratorio”. Poi approdò all’Inter, dove al fianco del dottor Angiolino Quarenghi ebbe una parte importante nei trionfi dei nerazzurri del Mago. Fu lui a far comprendere al mondo del calcio che la preparazione atletica non poteva essere solo “giri di campo”, per attivare l’apparato muscolare. In quegli anni si prese cura, fra gli altri anche di Felice Gimondi, introducendo lavori per l’epoca avveniristici nel ciclismo. «Grazie al professore - rivelò un giorno il campione bergamasco - non mi venne più il raffreddore». Lasciò però la sua impronta in diversi ambiti, in tanti sport e sulla carriera di un gran numero di campioni. A Giusepe Gentile, il triplista primatista del mondo e bronzo olimpico a Messico ‘68, vietò di guardare i salti degli avversari, perché rischiava di essere distratto dalla loro tecnica, così diversa dalla sua. Insomma, un pioniere. Che ha lasciato una grande eredità, anche attraverso le pagine del libro sulla sua vita - “Il modellatore di uomini” - scritto qualche anno fa con Federico Biffignandi. Oggi pomeriggio, alle 14.30, il mondo dello sport gli darà l’estremo saluto, nella chiesa della Fondazione Carisma di Bergamo.