«Perdo un amico vero. E che giocatore era, non lo saltavi mai...»
«Ci sentivamo spesso, l’ultima volta pochi giorni fa. Se c’era un problema lui non mancava mai»
«Una notizia tremenda e del tutto inattesa. Pino stava benissimo, ci eravamo sentiti solo qualche giorno fa. È un colpo durissimo, si fa davvero fatica ad accettarlo. Mi ha chiamato Giancarlo Oddi di primissimo mattino e ho subito pensato che fosse successo qualcosa di brutto. Ma non pensavo che potesse essere accaduto proprio a Pino...». Renzo Garlaschelli trattiene il fiato, ha un groppo in gola grande così. Fa fatica ad andare avanti. Con Pino Wilson se ne va un altro pezzo, e che pezzo, di quella Lazio scudettata del 1974 di cui Garlaschelli è stato un altro dei grandi protagonisti. La seconda punta, come diremmo oggi, della formazione che aveva in Chinaglia l’ariete centrale e in Wilson il leader della difesa e il capitano della squadra.
3Garlaschelli, chi era per lei Wilson?
«Eravamo grandi amici. E, paradossalmente, lo siamo diventati soprattutto negli ultimi venti anni invece che quando giocavamo assieme. Io vivo a Vidigulfo, in Lombardia, quindi non è che ci vedessimo spesso, l’ultima volta credo sia stata un paio di anni fa che ero sceso a Roma. Però telefonicamente ci sentivamo tantissimo. Non dico tutti i giorni, ma di frequente sì. Ogni volta che c’era un problema lui chiamava sempre, era presente come fanno i veri amici. Sarà difficile farsi una ragione che non ci sia più».
3Che uomo era Pino Wilson?
«Di una grande umanità e di notevole intelligenza. Sapeva sempre trovare le parole giuste al momento giusto. Quando giocava era un po’ più chiuso, più spigoloso, anche più taciturno. Poi, dopo aver smesso di fare il calciatore e raggiunta la piena maturità come uomo, ha smussato certi angoli del suo carattere ed è venuta fuori tutta la sua generosità e la sua grande capacità di mettersi a disposizione degli altri».
3L’amico che tutti vorrebbero, insomma.
«Sì, proprio così. E, ripeto, tra me e Pino l’amicizia vera ed intensa è nata negli ultimi venti anni dopo che ci siamo ritrovati da ex compagni di squadra. Quando giocavamo avevo buoni rapporti con lui, ma non particolarmente stretti. Con lui come con gli altri. Anche perché in quella squadra attraversata dai clan io mi ero sempre un po’ tenuto fuori da tutto. Quando ero a Roma, finiti gli allenamenti, avevo altri giri, non frequentavo i compagni di squadra».
3Già, la Lazio del ‘74 fatta di mille divisioni, ma che poi alla domenica diventava un corpo unico.
«Sì, proprio così. Quante botte ci davamo in allenamento. E non solo quando c’era la partitella infrasettimanale, ma anche negli altri giorni. Non ci risparmiavamo mai. La domenica, però, remavamo tutti dalla stessa parte».
3 E Wilson che tipo di difensore era quando lo affrontava in allenamento?
«Molto duro, anche “cattivo”, agonisticamente parlando. Davvero un cliente scomodo, era difficile metterlo in difficoltà. Al punto che per me era più complicato giocare contro di lui nelle partitelle che facevamo a Tor di Quinto che non in quelle ufficiali che giocavamo alla domenica».
3In quello spogliatoio attraversato da mille tensioni Wilson che ruolo aveva?
«Era il capitano, quindi un ruolo fondamentale che svolgeva con la classe che lo contraddistingueva. Lo faceva soprattutto nelle partite ufficiali, però, un po’ meno in allenamento...».
3Ed era anche un punto di equilibrio tra le varie anime della squadra?
«No, quel ruolo di mediatore lo svolgeva soltanto Tommaso Maestrelli. L’unico vero e insostituibile punto di equilibrio di quella squadra era l’allenatore. Solo Maestrelli aveva le capacità e l’ascendente per mettere pace tra le fazioni e farle andare d’accordo in campo».
3Fu lui però a dare la fascia a Wilson. Perché?
«Tommaso capì che Pino era il più intelligente tra noi, quello capace di esprimersi meglio, anche con gli arbitri, che all’epoca non facevano sconti. Una fascia che lui ha dimostrato di meritare ampiamente e che ha onorato fino in fondo».