La Gazzetta dello Sport

La sindrome del Maradona: quante sconfitte pesanti Confronto nello spogliatoi­o

In A e nelle coppe bilancio negativo a Napoli Discussion­e dopo il ko col Milan: ora si riparte?

- di Maurizio Nicita NAPOLI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Chiamatela sindrome di Maradona, o se non volete toccare i santi definiamol­o in maniera più sportiva “braccino” del tennista. Fatto sta che quando il Napoli si ritrova a giocarsi qualcosa di importante nel proprio stadio - che si riempie di entusiasmo -, la squadra sbaglia prestazion­e e perde. Recentemen­te è capitato con Barcellona e Milan, ma anche con l’Inter alla fine quel pari in gennaio ha lasciato l’amaro in bocca per il mancato salto di qualità. Luciano Spalletti, che ha sempre contestato chi ha criticato il carattere di questa squadra, domenica sera ha ammesso a denti stretti che «chi soffre la pressione deve farsi da parte. Perché è logico che più la posta in gioco sale più la pressione è maggiore».

Confronto duro

Il tecnico da parte sua ha cercato sempre di rompere meccanismi contorti dell’ambiente, fatti di alibi e di “non cambierà mai niente” e tutto sommato è contento che domenica sera nello spogliatoi­o ci sia stato un confronto anche aspro – perché a fine gara l’adrenalina da smaltire è tanta – fra i giocatori. Fra chi, più esperto, ha rinfacciat­o ad altri una concentraz­ione e un impegno non adatto al livello della partita. Qui non si tratta di fare gossip o creare capri espiatori, ma se giochi male è giusto che una reazione all’interno del gruppo ci sia, altrimenti significhe­rebbe avere già rinunciato ad ogni ambizione. Ma quello che è stato brutto, nella

sensazione di diversi giocatori, è stato il ritrovarsi con gli stessi quesiti e simile smarriment­o della notte del 23 maggio, dopo il pari interno col Verona – il prossimo avversario… - che fece sfumare il quarto posto e la qualificaz­ione in Champions. E allora si giocava a porte chiuse. Tra l’altro in questa stagione in casa è sfumata due volte l’Europa: perché coi russi dello Spartak sarebbe bastato un pari per arrivare agli ottavi, poi sfumati anche contro il Barcellone e con la Fiorentina è sfumata traumatica­mente anche la Coppa Italia.

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lasciar fuori dal discorso il patron Aurelio De Laurentiis. Perché se questa squadra cambia allenatori ma il risultato non si scosta di molto bisogna porsi degli interrogat­ivi. Per fare l’ultimo step sul piano della qualità e dei risultati serve una crescita armoniosa di ogni componente. La gestione monocratic­a e accentratr­ice del presidente alla fine non ha fatto crescere altre figure dirigenzia­li importanti. Perché – e questo lo sottolinea anche Spalletti, il più aziendalis­ta degli allenatori – per vincere e battere una concorrenz­a agguerrita serve la cura di ogni particolar­e, a qualsiasi livello. E ancora da questo punto di vista c’è molto da lavorare. Intanto domenica si gioca lontano da casa, anche se Verona sta diventando fatal anche per il Napoli. E Giulietta non c’entra niente.

Il problema Manca il salto di qualità e il timore è che si ripeta un copione già visto nelle scorse stagioni

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LAPRESSE Compleanno amaro Ieri Luciano Spalletti ha compiuto 63 anni

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