La Gazzetta dello Sport

GAROZZO TRIONFA ANCHE SUI LIBRI «IO MEDICO L’ORO PIÙ BELLO»

Sulle orme del padre: il 22 marzo il campione olimpico di Rio discuterà la tesi all’Università di Tor Vergata

- di Paolo Marabini

Dal podio di Olimpia al camice bianco, dal trono di re del fioretto alla laurea in medicina. Si può fare, eccome. Prendete Daniele Garozzo. Siciliano di Acireale, 30 anni il prossimo 4 agosto, ne aveva appena compiuti 24 quando a Rio de Janeiro - un po’ a sorpresa, ma anche no - vinse l’oro olimpico che l’Italia, nell’arma di maggior tradizione, aspettava da vent’anni. Il 26 luglio scorso, a Tokyo, c’è mancato poco che gli riuscisse addirittur­a la doppietta consecutiv­a, firmata solo da due monumenti della scherma come Christian D’Oriola e Nedo Nadi: argento, battuto dal nuovo asso di Hong Kong, Cheung Ka Long. «Lì per lì - ammette il numero uno azzurro - è stata una delusione molto forte. Ho impiegato un po’ a digerirla. Volevo addirittur­a chiudere la carriera. Ma poi ho compreso di aver fatto comunque una cosa grande».

3Nel frattempo sono accadute un po’ di cose. Soprattutt­o è arrivato un grande successo: l’ultimo esame universita­rio. Manca giusto la laurea e ci siamo, dottor Garozzo...

«Sì, sono all’ultima stoccata. Appuntamen­to il 22 marzo a Roma, alle 12, all’Università di Tor Vergata. Tesi sull’endoarteri­ectomia carotidea. Chirurgia vascolare».

3Ha celebrato via social l’ultimo esame con un lungo messaggio, esultando come dopo una grande vittoria in pedana.

«Perché una grande vittoria lo è stata davvero. La mia laurea vale più dell’oro olimpico, è il traguardo più difficile che io abbia mai tagliato. Ho impiegato tanto, quasi dieci anni e mezzo. Non è stato facile conciliare una carriera ai massimi livelli con la facoltà di medicina. Ma, come ho scritto, nemmeno un minuto di quelle ore di studio è andato perduto».

3 Quel messaggio ha un indirizzo particolar­e?

«È per tutti coloro che hanno un sogno. Vuol dire: ce l’ho fatta io, ce la potete fare anche voi. Io non mi sono mai considerat­o un talento. Né sui libri né in pedana. Per arrivare alla laurea e all’oro olimpico, ho faticato ogni giorno. Ma con il lavoro, l’impegno, ho coronato i miei sogni. Grazie anche alla mia famiglia. E alla mia fidanzata: Alice ha accettato le mie rinunce, il tempo tolto a lei e a noi. Questa laurea è un po’ anche sua».

3Quanto i libri hanno tolto alla scherma e viceversa?

«La premessa è che se non avessi studiato non sarei diventato campione olimpico. Lo dico seriamente. Dopodiché ci può anche stare che lo studio mi abbia tolto qualcosa. In fin dei conti non ho molti successi in Coppa del Mondo. Ma non c’è la controprov­a che se mi fossi dedicato solo alla scherma avrei vinto di più. E posso dire che le fatiche dello sport mi hanno aiutato nello studio quanto quelle dell’università mi sono servite a sopportare le fatiche in palestra».

Ha mai pensato di arrendersi?

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«Sì, sono stato più volte sul punto di lasciare libri e scherma. Ma ho sempre tenuto duro. Solo nel 2015 ho trovato l’equilibrio, prima facevo tutto male, forse stavo chiedendo troppo a me stesso, come atleta e come studente. Poi l’oro di Rio è stato lo spartiacqu­e. Quel successo mi ha fatto anche guadagnare una consideraz­ione diversa come studente-atleta. È cambiato un po’ lo scenario. E di conseguenz­a gli stimoli».

3 A cosa si riferisce?

«In Italia, spiace dirlo, siamo molto indietro su questo fronte. Uno studente che fa sport, nella migliore delle ipotesi non viene aiutato. Esempio: magari solo a spostare un appello di un giorno perché coincide con una gara importante. Non perdere un appello, vuol dire non dover aspettare tre mesi per quello successivo».

Mai pensato all’estero?

Se non avessi studiato non sarei mai diventato il re dei Giochi Daniele Garozzo sull’importanza dell’Università

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«Quando avevo 19 anni mi offrirono una borsa di studio negli Stati Uniti, mi davano tutto ciò di cui potevo aver bisogno per conciliare le due carriere. Dissi di no perché voleva dire abbandonar­e il sogno di vincere l’Olimpiade. Per la tipologia del mio sport, rinunciare al mio maestro sarebbe stato decisivo in tal senso».

3 Perché medicina?

«Papà è angiologo, ma diventare il medico era il mio desiderio già da ragazzo, a prescinder­e. Sognavo di fare il chirurgo urgentista, tipo Gino Strada. Poi non so ora quale indirizzo prenderò di preciso. Cardiologi­a, medicina dello sport... vedremo».

3 L’esame più difficile? «Istologia. L’Everest, ho impiegato nove mesi. Imparagona­bile».

3Che cosa le manca per la laurea in... fioretto?

«Il titolo mondiale. Ci sono andato vicino cinque anni fa. Ci riproverò quest’estate al Cairo».

Medico e fiorettist­a si può?

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«Io penso già a Parigi 2024. Ma a fine anno, da specializz­ando, rischio di dover lasciare le Fiamme Gialle. Mi spiacerebb­e uscire dal gruppo sportivo. Spero che le istituzion­i mi vengano incontro».

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