La Gazzetta dello Sport

«Inzaghi, bel lavoro Tanti progressi in questa stagione Ora, osare di più»

- Di Andrea Schianchi

L’Inter esce a testa alta e Arrigo Sacchi ne apprezza i migliorame­nti sul piano del gioco e della personalit­à. «Il Liverpool è una delle migliori squadre del mondo e l’Inter, soprattutt­o nella sfida di Anfield, non ha sfigurato. Peccato per l’espulsione di Sanchez...».

3 Già, con Sanchez l’impresa sarebbe stata possibile?

«Altroché! Dopo un primo tempo in cui i Reds hanno controllat­o e l’Inter forse aveva un po’ di paura, nella ripresa i nerazzurri sono usciti con coraggio e hanno trovato il gol. In quel momento anche il Liverpool aveva brutti presagi, ma l’espulsione è stata determinan­te».

Che cos’è mancato all’Inter?

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«Intanto, cominciamo col dire che ha fatto notevoli progressi rispetto alla passata stagione e adesso è vicina a essere una squadra di alto livello europeo. Serve ancora più coraggio. Bisogna essere padroni del gioco e per farlo non si può avere un sovrannume­ro di giocatori in difesa. Si deve giocare a sistema puro: se gli altri schierano due attaccanti, tu li affronti con due difensori, senza bisogno del classico libero all’italiana. Altrimenti si perde un uomo a centrocamp­o e si va in difficoltà. Il pressing aiuta a sostenere l’uno-contro-uno anche in fase difensiva: lo si deve fare di più».

Critiche da muovere?

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«Nessuna, se non che forse c’è un po’ di rammarico perché, questa è la mia impression­e, si è andati a Liverpool senza la necessaria fiducia. Le partite sono tutte da giocare e il calcio può regalare sorprese in ogni momento: mai partire battuti, si perde soltanto quando l’arbitro fischia la fine».

3 Chi le è piaciuto di più?

«Lautaro ha fatto un gol straordina­rio. Brozovic è sempre propositiv­o. E Perisic va come un treno. Anche Skriniar è stato bravo, soprattutt­o in fase difensiva: certo, con i piedi non è un poeta, ma non si può avere tutto nella vita...».

Che cosa ha detto questa partita sulle condizioni del calcio italiano?

«Che non siamo lontani dalle squadre di altissimo livello, però si deve insistere nel lavoro. Bisogna avere un gioco collettivo, dove tutti partecipan­o alla fase difensiva e a quella offensiva, bisogna fare più pressing e soprattutt­o bisogna tenere presente che le squadre straniere sono più brave ad attaccare che a difendere. Dunque, noi dobbiamo avere il coraggio di andare nella loro metà campo per creare loro dei pericoli, e non stare rintanati davanti alla nostra area e aspettare il momento del contropied­e. Usciamo con coraggio dall’italianità e avviamo un percorso di innovazion­e».

«Negli ultimi anni l’Atalanta è stata quella che mi ha impression­ato di più, facendo anche un rapporto tra spese e risultati ottenuti. La Juve, che ora se la vedrà con il Villarreal, ha investito tantissimo, ma recentemen­te non ha fatto molto in Europa, nemmeno quando c’era Ronaldo. Ciò significa che il collettivo conta più del singolo e che il gioco è come la trama di un film: unisce i protagonis­ti e li fa rendere al meglio. Va interioriz­zato, processo difficile da compiere, ma se c’è la volontà di tutti si può fare».

Il Milan a che punto è?

«È giovane, ha entusiasmo, ha coraggio e con l’organizzaz­ione, sia societaria sia di squadra, colma le lacune. È così che si deve ragionare. Il Milan è già europeo: gioca a sistema puro, due difensori contro due attaccanti. Quando perde uno per infortunio, dalla panchina ne entra un altro e quasi nessuno se ne accorge. Penso agli innesti di Kalulu o di Gabbia. Vuol dire che c’è un’idea di gioco che, piano piano, è stata recepita dal collettivo».

Quali club stanno percorrend­o questa strada?

Sono undici anni che un’italiana non vince una competizio­ne internazio­nale.

«Adesso c’è ancora la Juve in corsa, e magari può arrivare a quel trofeo: non mettiamo limiti. Anche la squadra di Allegri, ultimament­e, sta facendo progressi. Certo, undici anni sono tanti, e tanti sono stati i soldi spesi. La questione fondamenta­le è che i giocatori devono essere scelti bene: bisogna guardare prima alla persona, alle sue doti morali, al suo entusiasmo, alla sua voglia di apprendere e di sacrificar­si, alla sua umiltà. Solo se sei umile, sei disposto ad apprendere. E senza la conoscenza non ci possono essere né coraggio né innovazion­e».

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AP Delusione Simone Inzaghi, 45, consola Lautaro Martinez, 24, dopo l’eliminazio­ne dalla Champions League

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