In Europa servono aggressività e intensità L’Inter di Liverpool è una lucina nel buio
Le statistiche e i numeri sono impietosi. Negli ultimi sette confronti tra squadre italiane e inglesi, in turni di euro-coppe a eliminazione diretta, preliminari inclusi, si sono sempre qualificati i club di Premier League: il Liverpool due volte (contro Roma e Inter); l’Arsenal due volte (Milan e Napoli); il Manchester United due volte (Milan e Roma); il Wolverhampton una volta (contro il Torino). L’ultima italiana a passare è stata la Juve, con il Tottenham nel 2017-18. Contro le spagnole, le italiane hanno vinto soltanto una delle dieci più recenti euro-gare in confronti da dentro o fuori: è stato il Napoli a compiere l’impresa, contro il Granada nell’Europa League 2020-21. Il Granada, non proprio il Real Madrid. Un filo meglio è andata contro le tedesche: nella stessa situazione, due successi negli ultimi dieci incontri. L’Italia non vince una coppa europea dal 2010, l’ormai lontana Champions dell’Inter, e sempre l’Inter è stata l’ultima italiana a raggiungere una finale, nel 2020 in Europa League, persa contro il Siviglia. Abbiamo chiesto alla Opta il bilancio assoluto di vittorie, pareggi e sconfitte nelle coppe europee, qualificazioni e match di ieri sera esclusi, a partire dal 2010-11, l’annata successiva alla Champions interista. Percentuale di successi: Spagna 54,01 per cento; Inghilterra 51,98%; Germania 48,58%; Italia 43,8%.
Siamo quarti davanti a Portogallo (39,69%) e Francia (36,27%) e il particolare giustifica i quattro posti riservati all’Italia in Champions. La domanda è la solita: che fare? Come ritornare all’età dell’oro, più o meno compresa tra la prima Champions vinta dal Milan di Sacchi, nel 1989, e la finale tutta italiana di Manchester 2003, tra Milan e Juve? Assumiamo come confine Old Trafford 2003 e non Atene 2007, la settima Champions milanista, quella della rivincita sul Liverpool, perché il Milan-Juve di Manchester ibernò l’utopia sacchiana e rivestì il calcio italiano con l’abito consueto, il doppiopetto della fase difensiva: 0-0 dopo 120 minuti, coppa assegnata ai rigori, l’etichetta di finale più noiosa di sempre. E qui si nasconde la risposta: il nostro calcio ha bisogno di altri Sacchi, di allenatori che spariglino, che facciano risalire il tasso di aggressività e di intensità, che impongano ai loro giocatori di muoversi di più nella metà campo degli altri. Sembrava che potesse riuscirci Sarri, qualcosa non ha funzionato. Potrebbe provarci con successo qualche giovane leone. Non è obbligatorio che siano italiani. Nel suo piccolo, e nonostante una classifica disperata, il tedesco Blessin al Genoa percorre la via del pressing alto e delle elevate frequenze di corsa. L’esempio genera emulazione. La partita dell’Inter ad Anfield rappresenta una lucina nel buio. Servirà di più, ma è stato qualcosa. Simone Inzaghi ha chiesto ai suoi una prestazione alla pari, occhi negli occhi, contro una delle squadre più forti, e l’ha ottenuta. In vantaggio di un uomo, il Liverpool si è rifugiato nel giropalla della conservazione. L’obiezione sui legni dei Reds è rovesciabile: la prima traversa l’aveva colpita Calhanoglu all’andata, sullo 0-0, e con quel gol molto sarebbe cambiato. Il primo passo è la mentalità propositiva. Non più timori né tremori, basta con le fughe all’indietro. In Europa bisogna correre avanti. Stasera l’Atalanta gioca in Europa League contro il Bayer Leverkusen. C’è fiducia, le formazioni di Gasperini sprigionano spirito internazionalista, di conquista. Non speculano, osano. L’Europa punisce chi fa troppi calcoli.