Giovinazzi avverte «Restare sempre concentrati al top»
I piloti raccontano il circuito dai due volti Wehrlein: «Mozzafiato, sembra Macao»
Introdotto nella diffidenza di tanti, il gran premio dell’Azerbaigian si è guadagnato una sua nomea e un suo ruolo. È la gara pazza che spariglia classifiche e cliché. Quei due circuiti in uno immaginati da Hermann Tilke a unire altrettante zone di Baku, il primo dai rettilinei lunghissimi e l’altro dalle strette chicane attorno alla città vecchia, costringono i team a compromessi circa gli assetti e hanno praticamente sempre sortito qualche sorpresa. Un dato: cinque volte ci si è corso e cinque piloti diversi ci hanno vinto, nella Formula-Hamilton degli ultimi anni non un particolare da poco. Considerando le ultime 5 edizioni di tutti gli altri GP in calendario, solo Montecarlo ha avuto altrettanta alternanza. Nel Principato sono andati sul podio in 8, di 4 team; a Baku 9 piloti di ben 7 squadre. Un caso unico, in effetti.
Senza respiro «Baku è famosa per i suoi lunghi rettilinei», spiega Antonio Giovinazzi, da oggi in Azerbaigian come terzo pilota Ferrari. Il principale, quello del traguardo, è 2.2 km, il doppio del suo corrispettivo di Monza. «E l’altra caratteristica della prima parte di tracciato – prosegue – sono le curve cieche, per cui servono esperienza e una concentrazione continua. Alla 1, dopo tutto quel dritto, i freni possono essere freddi e quindi bisogna fare molta attenzione». Anche perché la traiettoria ti costringe a baciare il muretto, e per parecchi in questi anni il bacio è stato troppo profondo. «Poi, tra la 2 e la 3, nella seconda zona di Drs c’è un punto buono per i sorpassi, ma bisogna essere certi di mantenere la destra per affrontare la 4», l’ultima curva a 90° prima di entrare nel “secondo circuito” dalla 7, «con una frenata ritardata che lo rende uno dei punti più tecnici e stimolanti».
I venti «Baku ti toglie il respiro, ha tutto: un rettilineo che non finisce mai, passaggi molto stretti, curve ad angolo retto ma veloci...», sono parole di Pascal Wehrlein, pilota di Monaco Increase Management, già campione Dtm e collaudatore Ferrari, ora 8° in Formula E su Porsche. A Baku ci ha corso nel 2016 su Manor e l’anno successivo con la Sauber, strappando anche un punto. «C’è un tratto particolarmente angusto fra le curve 8 e 9, in prossimità della torre, che non ha paragoni in Formula 1. Se una macchina si pianta lì, per gli altri diventa difficile, per non dire impossibile, girarci intorno». È una chicane che Giovinazzi definisce «molto divertente». E che inizia il periplo della città vecchia, fatto di curve tutte a sinistra. «Uscirci bene è fondamentale per affrontare la 20 e poi il lungo rettilineo», conclude Antonio. «Come velocità mi ricorda un po’ Macao, ma con un “carattere” tutto suo», aggiunge Wehrlein. «La messa a punto è impegnativa: hai bisogno di un’ala quasi piatta sui rettilinei, ma i punti più tortuosi e le curve a elevata percorrenza richiedono una buona aderenza, che ti dia fiducia. Non è facile azzeccare il compromesso». Anche perché da considerare ci sono la (non) altitudine, la città è 28m sotto il livello del mare, e soprattutto Khazri o Gilavar, i venti. Baku è un acronimo, di BaduKube, “città dove soffia il vento”. Khazri arriva da nord del Caspio, è laterale sul rettifilo principale e frontale tra le curve 1 e 2. Gilavar arriva da sud-est, sul drittone è in coda. «E può valere diversi decimi», dice Nicola Bariselli, track operations manager di Ferrari.