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BRAIDA: «MI FIDO DEI MIEI OCCHI PIÙ CHE DELLE STATISTICH­E» Il d.g. della Cremonese ex del Milan «I computer non dicevano tutto su Kakà»

- Di Andrea Schianchi

Ariedo Braida ha 76 anni. Cresciuto come centravant­i nel calcio del «palla lunga e pedalare», dopo aver attraversa­to da dirigente l’epoca della zona, del pressing e persino del tiqui-taca (a Barcellona), ora si trova alle prese con un calciomerc­ato gestito dagli algoritmi. Adeguarsi senza piegarsi è il suo motto.

3 Che cosa pensa degli algoritmi applicati al calcio?

«Nel 1992, esattament­e trent’anni fa, partecipai a una convention su come l’intelligen­za artificial­e avrebbe potuto migliorare i calciatori e le scelte dei dirigenti. È un argomento che conosco, ma non mi convince del tutto».

3Perché?

«Semplice. La matematica è una scienza e il calcio no. Il calcio è spesso approssima­zione, si va per intuizioni, per genialate. Il calcio è territorio per artisti, mica per scienziati. Per l’artista tre più tre, come cantava Dalla di Nuvolari, fa sempre sette...».

3

Dica la verità: ha mai utilizzato

gli algoritmi per scegliere i giocatori?

«Io i giocatori li vado a vedere dal vivo e, con l’esperienza che ho, mi basta mezz’ora per decidere. Posso sbagliare, certo. Ma mi fido di più dei miei occhi che dei dati asettici riportati su una tabella. Sono un dirigente vecchio stampo, che cosa ci posso fare?».

3Ma gli algoritmi non aiutano proprio?

«Possono aiutare, perché forniscono statistich­e, numeri, dati oggettivi. Ma poi dev’essere sempre l’uomo a decidere, a scegliere, a valutare. Lo dico un’altra volta: il calcio è un territorio per gli artisti, per chi ha idee, per chi non si lascia ingabbiare dai numeri. E poi io faccio parte di una generazion­e che, pur essendo curiosa nei confronti delle tecnologie, ha sempre lavorato in un certo modo e continuerà su questa strada».

3E anche senza algoritmi di fuoriclass­e ne ha acquistati.

«E’ una lista abbastanza lunga. Secondo voi un algoritmo che cosa mi poteva dire di Van Basten, di Gullit, di Rijkaard, di Savicevic, di Shevchenko o di Kakà? Mi diceva quanti tiri in porta aveva fatto, quanti con il destro e quanti con il sinistro, quanti gol aveva realizzato di testa, come si era mosso. Sì, ma la personalit­à dove la mettiamo? E l’atteggiame­nto verso i compagni? E il comportame­nto con l’allenatore? Quelle sono cose che deve valutare l’uomo, il dirigente, il presidente, e non stanno scritte in nessun algoritmo».

3 Facciamo un esempio: come si sceglie un giovane che, potenzialm­ente, è un talento?

«Generalmen­te si riceve una segnalazio­ne dagli osservator­i che compilano una relazione. E questa sì, al giorno d’oggi, magari si basa anche sugli algoritmi».

3 E poi che succede?

«Succede che il dirigente deve fare la valigia, prendere un aereo se stiamo parlando di un giocatore straniero e andarlo a seguire. Deve vederlo in allenament­o, deve osservarlo in partita, deve conoscere la famiglia, gli amici. Deve sapere, insomma, che tipo di ragazzo è. Posso fare mille esempi di calciatori che erano potenzialm­ente dei fuoriclass­e e poi sono spariti nel nulla. A fare la differenza, come in tutte le cose della vita, è il cervello. E il cervello non lo si giudica attraverso gli algoritmi, ma parlando con il ragazzo, con i genitori, con l’allenatore che lo sta seguendo, con i compagni. Questo è il metodo giusto. Faticoso, lo so, ma estremamen­te appagante».

3Alla Cremonese, nel campionato di B concluso con la promozione, ha avuto giocatori che vengono definiti «campioncin­i»: Fagioli, Zanimacchi­a, il portiere Carnesecch­i.

«Li abbiamo scelti guardando quello che avevano fatto nel passato, e quindi leggendo i dati e le statistich­e, ma poi li abbiamo seguiti con molta attenzione nella loro crescita. E oggi, se mai chiedete un parere su di loro, vi dico che sono bravi ragazzi. Esprimo un giudizio basato sull’osservazio­ne diretta, e che hanno buone potenziali­tà, sempre ragionando su ciò che ho visto io e non su ciò che mi dicono gli algoritmi».

3In conclusion­e, è sempre l’occhio umano, pur non infallibil­e, a dover avere l’ultima parola?

«Senza dubbio. E’ come un pittore davanti a una tela: deve essere lui, e non l’algoritmo, a decidere se serve un tocco di giallo e se l’opera risulta più completa con un rosso. E’ una questione di sensibilit­à individual­e, sennò finisce che siamo tutti uguali, omologati e facciamo le stesse cose. L’errore, che nel nostro mestiere è sempre dietro l’angolo, fa parte del gioco. Però, se guardate chi è salito in serie A, e oltre alla Cremonese ci sono il Lecce e il Monza, mi permetto di aggiungere che gli algoritmi hanno inciso per una minima parte. Davvero minima».

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 ?? ?? Puro talento Il brasiliano Kakà, oggi 40 anni, arrivò al Milan su impulso di Braida nel 2003
Puro talento Il brasiliano Kakà, oggi 40 anni, arrivò al Milan su impulso di Braida nel 2003

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