L’uomo d’oro CURRY DA LEGGENDA E FINALMENTE MVP È LA RESURREZIONE DI GOLDEN STATE
Battuta Boston, quarto anello in 8 stagioni per i Warriors Solo due anni fa erano a pezzi e all’ultimo posto
La moglie Ayesha lo aspetta pazientemente nel corridoio del TD Garden, il rossetto rosso sulle labbra, la canotta col numero 30 come vestito e la giacca consegnata ai migliori 75 giocatori di sempre sulle spalle. Il suo Steph è l’eroe di serata e tutti ne vogliono un pezzetto: l’Nba per le foto col trofeo, i giornalisti per farsi raccontare perché queste sono state le Finals migliori che abbia mai giocato. Curry, l’uomo che ha rivoluzionato il basket, vuole godersi ogni momento di questo suo quarto titolo, conquistato chiudendo sul 4-2 i conti con Boston, sul parquet avversario. Questo titolo è speciale, e il motivo non è che lui ha finalmente vinto l’mvp delle Finals, l’unico premio che ancora gli mancava. «Trovo davvero incomprensibile che, in una carriera impeccabile come la sua, gli si facesse notare che gli mancava quel trofeo. Beh, adesso ce l’ha. Ma non aggiunge nulla» dice coach Kerr della sua stella.
Leggenda Curry non aveva bisogno dell’mvp delle Finals per essere considerato leggenda, come ricorda sbattendo il pugno sul tavolo in sala stampa, dopo aver guardato fitto il trofeo che porta il nome di Bill Russell, quando la prima domanda è proprio su quel trofeo. «Siamo quattro volte campioni, perché mi chiedete proprio di questo?» dice nervoso, lo champagne condiviso con i compagni in spogliatoio ancora troppo in circolo per permettergli di conservare la solita calma. Steph è il fenomeno che ha cambiato il modo di giocare: ha sdoganato il tiro da tre come i grandi del passato avevano sdoganato la schiacciata. L’ha reso normale, un’arte. Anche se in tanti hanno provato ad imitarlo e a nessuno riesce bene come a lui.
Dominio Vale anche per queste Finals: le ha dominate a 31,2 punti di media, tirando col 48,2% dal campo e il 43,7% da tre. I numeri del suo attacco però raccontano solo parte della storia. Perché Steph è stato decisivo in tanti modi: il fisico rimodellato nel corso dei tre anni di pausa della dinastia - quelli in cui i Warriors sono passati dal titolo perso con Toronto nel 2019 a essere la peggior squadra Nba l’anno dopo, prima di ricominciare a salire verso il trono - gli ha permesso di reggere meglio l’enorme carico di lavoro che si è sobbarcato, di passare dall’essere l’anello debole della difesa a uno degli scogli contro cui si è schiantato l’attacco di Boston. Steph era già un fenomeno quando i Warriors vincevano tutto: da perfetta superstar umile, quelle che rendono possibili le dinastie (non a caso coach Kerr lo paragona per atteggiamento a Tim Duncan, fulcro dei 5 anelli in 15 anni di San Antonio), aveva sempre condiviso il palcoscenico con gli altri. Questo però è il suo titolo. Ha 34 anni, ma non è mai stato così forte: ha smesso da tempo di essere solo il miglior tiratore della storia, diventando un giocatore completo, un leader vero. «Ho cominciato un anno e 6 giorni fa gli allenamenti per preparare la stagione – racconta -. Tutto quel lavoro ha pagato, an●Figlio d’arte (papà Dell ha giocato 16 anni in Nba), snobbato dai grandi college in uscita dal liceo, Curry viene scelto da Golden State con la 7ª chiamata al Draft 2009. Nella prima parte di carriera deve convivere con continui infortuni alle caviglie. Ma risolti i suoi guai, nel 2013 esplode. Nelle ultime 8 stagioni ha vinto 4 titoli (2015, 2017, 2018, 2022), due premi di mvp della regular season (nel 2016 è stato il primo a vincerlo all’unanimità) e ora l’mvp delle Finals. Detiene il record di triple a bersaglio in carriera, unico di sempre oltre quota 3000. È stato inserito nella lista dei 75 migliori giocatori di tutti i tempi. che se quando ho cominciato non sapevo dove ci avrebbe portato. Venivamo da due anni di infortuni, ma abbiamo creduto nel nostro Dna di campioni, nella nostra squadra. Era tutto quello che potevamo fare: preoccuparci di noi stessi, di salire di livello nel momento giusto. E adesso siamo qui. Non ci sono tante squadre che avrebbero fatto quello che abbiamo fatto noi, convivere con tutti gli infortuni e i problemi che abbiamo avuto e tornare in cima alla montagna».
Leader Se i Warriors sono riusciti a tornare in cima, il merito è di Curry. «È incredibile la stagione che ha avuto, la carriera che ha avuto – dice Draymond Green -. E adesso ci ha aggiunto anche l’mvp delle Finals. So che ha detto che non gli importava, e in effetti questo premio non aggiunge nulla a chi è o a come ha cambiato il gioco. Adesso però ha cancellato tutti i dubbi. E ci ha fatto tornare campioni». Non vale solo per questo titolo 2022, ma per tutta la dinastia Warriors: «Non avremmo vinto quello che abbiamo vinto senza Steph – spiega coach Kerr, uno che in carriera ora ha vinto 9 anelli, di cui 4 da coach di questa squadra eccezionale -: è lui il motivo per cui abbiamo conquistato 4 titoli, per cui siamo di nuovo a questo punto. Per me questo anello è la ciliegina sulla torta della sua carriera, che è già stata incredibile». Una carriera che l’ha già portato nel club dei migliori 75 giocatori della storia, che gli ha permesso di segnare un’epoca, di vincere tutto. «Per me, Steph è il miglior play di tutti i tempi e questo titolo consolida quello status. In Nba non c’è mai stato uno che abbia dominato con la sua stazza – sostiene Andre Iguodala di Curry, 188 centimetri per 83 kg -. È un talento generazionale, ma il fatto che lo stiamo vivendo così da vicino forse non ce lo fa apprezzare fino in fondo. Quando smetterà probabilmente capiremo cosa è stato, quanto è stato divino. E mancherà a tutti, non solo ai Warriors e all’Nba».
Festa Ayesha Curry può finalmente godersi il suo Steph. L’ha aspettato per oltre mezzora e adesso può festeggiare con lui il titolo dei Warriors, campioni per la quarta volta in 8 stagioni e tornati sul trono proprio nel giorno dell’anniversario della loro prima volta. E il titolo di Curry, quel fenomenale ragazzo cresciuto col basket nel sangue che è diventato leggenda. Lo era anche prima di questo anello, di questo mvp delle Finals. Adesso ha proprio vinto tutto quello che poteva vincere. «Tranne la medaglia d’oro olimpica, fossi in lui farei di tutto per vincerla a Parigi 2024» ricorda con un sorriso Kerr, nuovo coach di Team Usa. No, Curry non avrebbe bisogno nemmeno di quella per essere leggenda. Lo è già da un pezzo.
Parla il campione
Steph: «Abbiamo convissuto con gli infortuni, ora siamo tornati in cima alla montagna»