BERRETTINI RADDOPPIA E PLANA SU WIMBLEDON «POSSO BATTERE DJOKOVIC E NADAL» Matteo fa la voce Grossa
L’azzurro supera Krajinovic e vince al Queen’s per il secondo anno di fila. Quanta fiducia verso lo Slam che inizia tra 7 giorni e nel quale perse in finale nel 2021
V
eni, vidi, vici. Dove passa Matteo il Conquistatore, cresce l’erba dei sogni. Adesso, Berrettini è certamente il più forte giocatore al mondo sui prati e i nobili muri del Queen’s, il circolo della Regina Vittoria, rilanciano il messaggio al mondo: il sovrano è italiano, dopo il secondo successo consecutivo nel torneo londinese che segue il trionfo di Stoccarda di otto giorni fa. Una doppietta meravigliosa, uscita dalle nebbie delle incertezze figlie dello stop di 84 giorni causato dall’infortunio alla mano destra per illuminarsi con prestazioni sempre più convincenti e solide, da padrone assoluto della superficie. E se con questa autorevolezza aggiungi al tuo tesoro personale due perle così preziose, infilando una serie di nove partite vinte su nove (che diventano 21 su 22 dal giugno di un anno fa), l’orizzonte ha un nome soltanto. Wimbledon.
Consapevolezza Primo storico finalista azzurro ai Championships 12 mesi fa, Berretto è pronto al definitivo, grande salto, cioè ad annettersi lo Slam più prestigioso ed affascinante per scrivere la storia del nostro sport e bussare alla leggenda: «Sicuramente Wimbledon è un obiettivo, so che non sarà facile o che accadrà soltanto perché lo vorrò. Però io provo sempre a spingermi oltre i miei limiti. Quando mi sono infortunato ho messo tutto me stesso per recuperare al meglio e mentirei se dicessi che vincere Wimbledon non è il mio grande obiettivo, anche se ovviamente non sarà per nulla facile. Però so di possedere le armi per giocarmela con tutti, so che posso battere Djokovic e Nadal, non mi sento affatto lontano da loro». Soprattutto in questo sprazzo di stagione in cui il serbo, come di consueto, non ha ancora giocato sull’erba, lasciando di sé l’immagine frustrata della sconfitta nei quarti di Parigi, mentre Raf, signore dei
L’abbraccio con papà primi due Slam stagionali, affronterà i sacri prati di Church Road, dove peraltro non vince dal 2010, con la circospezione dell’infortunato cronico alle prese con una nuova cura. Intanto, nella vittoria in finale al Queen’s contro Krajinovic, Berrettini, ormai ribattezzato «Erbettini», dimostra perché il verde gli dona così tanto: senza il solito servizio dirompente, stavolta si affida alla risposta (quanti miglioramenti) e al profondissimo back di rovescio con cui assaltare la rete. E poi sono solo emozioni: «Non riesco a realizzare quello che ho fatto, tornare da un’operazione, vincere due tornei di fila e difendere il titolo di uno dei tornei più prestigiosi è qualcosa di incredibile, ma ora non voglio piangere». È il ricordo del recenti tempi bui ad averne mosso i sentimenti: «C’è stato un momento, una settimana o dieci giorni prima di Stoccarda, che la mano mi faceva male. Non la parte dove mi sono infortunato, ma il resto, il polso ad esempio. La mia mano non era forte abbastanza per permettermi di colpire come prima, ero preoccupato che non potesse essere all’altezza della situazione. Sono arrivato a Stoccarda e ho giocato appena un set di allenamento contro un ragazzo junior, quindi non avevo molti allenamenti alle spalle. C’è stato un momento in cui ho pensato di giocare soltanto un paio di match, se fossi stato fortunato. E invece sono sorpreso da me stesso».
Ingiustizia Adesso si prenderà tre giorni di riposo, perché le fatiche vincenti hanno richiesto comunque un sostanzioso contributo di energie psicofisiche, e poi si potrà pianificare la campagna di Wimbledon, con fiducia e consapevolezza: «Se dovessi avere l’opportunità di giocare nuovamente contro Djokovic in finale, almeno non sarebbe la prima volta. Ricordo che lo scorso anno non riuscivo a dormire molto e mangiavo a malapena, la tensione e la pressione erano altissime È stato un grande momento, ma se dovessi raggiungere nuovamente l’ultimo atto sarebbe diverso, sarei più pronto. Saprei che cosa aspettarmi e che cosa proverò, è
tutto incentrato sull’esperienza. Anche Novak l’ha detto, per lui era la 30a finale e ovviamente ci sono sensazioni diverse. Adesso sento di essere un giocatore più forte perché ho molta esperienza in più». Il trionfo, se arrivasse, cancellerebbe pure la tristezza e il paradosso di un vincitore che crollerebbe in classifica (oltre il 20° posto) anziché avvicinarsi al paradiso per la decisione dell’Atp di non assegnare punti: «La ritengo un’ingiustizia, avrebbero almeno dovuto metterci al corrente di quello che stavano decidendo. Quando si tratta di questioni dalle conseguenze così pesanti, i giocatori dovrebbero essere informati in anticipo». Contro l’amarezza, meglio concentrarsi sul gioco: «Credo che ci siano delle buone ragioni se sono piuttosto bravo sull’erba, anche se all’inizio non mi piaceva perché non avevo i tempi giusti e mi muovevo male: prima di tutto penso ovviamente alle mie armi, allo stile del mio gioco, al servizio, al diritto, allo slice, al fatto che devi essere davvero tosto e mentalmente molto forte, perché devi sfruttare ogni piccola occasione sul servizio dell’avversario e se non ci riesci puoi crollare un po’ emotivamente, pensando alle opportunità che hai sprecato. Devi essere davvero duro mentalmente e la forza della testa è qualcosa su cui sto lavorando da tutta la mia vita, e per tutta la mia carriera». Un cervello per Wimbledon.