Da Steph Curry a Messina come si muove il basket
Conclusi in parallelo Nba e campionato italiano. Parlo di basket, naturalmente: c’è un dato tecnico comune? Che cosa l’ha colpita di più nelle rispettive serie di finali?
Alcide Tommis
Le differenze fra i due mondi sono più rilevanti delle analogie. La Nba è una lega che ha al centro le superstar, solitamente una o due per squadra: i tecnici sono pagati per mettere i fenomeni a proprio agio in attacco (cioè con la palla in mano il maggior numero di volte), meglio se con un buon tiro, in caso contrario se la vedano loro: scontato che i bravissimi vincitori di Golden State ruotino attorno al fenomenale Steph Curry. Detto questo, è anche vero che le due squadre più ammirate degli ultimi anni sono proprio i Warriors e San Antonio, dove è particolarmente visibile la mano di grandi allenatori come Kerr e Popovich, due che in Europa si troverebbero magnificamente perché dalla nostra parte dell’Atlantico si punta molto di più sul gioco di squadra.
Non c’è dubbio che i playmaker di Milano e Bologna, Rodriguez
e Teodosic (entrambi in America hanno giocato con profitto) siano capacissimi di penetrare in area avversaria, far collassare la difesa e poi scaricare soprattutto in angolo per compagni smarcati per un tiro da tre punti. È il movimento d’attacco noiosamente più in voga nella
Nba. Ma Messina e Scariolo hanno chiesto soprattutto altro ai loro registi: coinvolgere tutta la squadra, servire in area i centri (Hines e Shengelia, ma anche Melli e Jaiteh), variare il gioco, eseguire gli schemi, tirare quando era il caso. È una scelta non dettata solo dall’ovvia considerazione che noi i Curry e gli Antetokounmpo non li abbiamo, ma da una cultura tecnica precisa. Che si percepisce anche dalla cura rivolta alla fase difensiva, di cui Messina è ormai un riconosciuto guru. Far difendere cinque giocatori di basket forte e all’unisono è un’impresa difficile, per la fatica fisica e mentale che comporta, ma, quando ci si riesce, ne salta fuori un gioco efficace e appagante anche dal punto di vista estetico. Un’altra delle differenze fra le due serie conclusive è costituita dalle condizioni fisico-atletiche cui arrivano le finaliste. In America tutti sono più o meno sullo stesso piano perché affrontano un numero di partite molto simile. In Italia e in Europa possono esserci situazioni diversissime a causa del variabile peso energetico delle coppe: l’anno scorso Milano era arrivata stremata alle partite-scudetto dopo la final four di Eurolega, quest’anno Bologna è stata segnata dal peso della fondamentale vittoria in
Eurocup. In campo è sembrato il dato più rilevante. Gestire il logoramento per queste due dominatrici italiane costituirà sempre il problema stagionale numero uno. La compostezza di Messina nel rispondere alle assurde polemiche dei dirigenti bolognesi sugli arbitraggi mi è parsa il momento migliore della serie italiana.
Un dato finale sul tiro da tre, la cui crescente incidenza sul gioco è quasi parossistica nella Nba (dove molte voci critiche si sono già levate), ma molto meno pervasiva in Italia/Europa. Un esempio tratto dalle vincitrici di gara 6: Golden State ha tirato da tre 46 volte (su 48 minuti, 38 come media su ipotetici 40), Milano solo 26. Ma i motivi sono nei numeri: le percentuali di realizzazione da due e da tre di Curry e compagni sono identiche al decimale (41,3%), mentre l’Olimpia è più precisa di oltre 20 punti percentuali vicino a canestro. Dunque, per la resa finale, non c’è un giusto e uno sbagliato.