La Gazzetta dello Sport

«Così HO SALVATO Anita» «I due minuti più lunghi della nostra vita»

L’allenatric­e del sincro Usa: «Andava giù, mi sono tuffata. Ora lei vuole gareggiare»

- Di Stefano Arcobelli

Anita affonda, Anita affoga. Ma non vedono? Nessuno interviene? Dentro la tragedia sfiorata ai Mondiali. Anita è la singolista americana Alvarez che mercoledì aveva appena finito l’esecuzione del suo esercizio nella finale del Solo libero di nuoto sincronizz­ato: si stava esibendo sulle note di Jungle, un brano di Tash Sultana. Attimi di panico, anzi un vero dramma si è sviluppato in pochi istanti: «I due minuti più lunghi della nostra vita» racconta il giorno dopo Andrea Fuentes, l’allenatric­e spagnola delle americane, ex campioness­a mondiale e 4 medaglie olimpiche, che non ha esitato a trasformar­si in bagnina visto che nessuno aveva capito, nessuno dell’organizzaz­ione si muoveva. La sincronett­e svenuta in acqua è stata salvata dalla sua allenatric­e, che oggi la riporterà (forse) in acqua per l’esercizio a Squadre. Un modo per dissimular­e il trauma. Si può morire per un 7° posto? «Anita è andata oltre i suoi limiti e ha perso conoscenza, ma se sviene in acqua non è come a una gara di ciclismo — racconta la Fuentes —, a una maratona in cui cadi e bum: svieni. In acqua è diverso, non puoi respirare. Io l’ho vista che stava andando sempre di più sott’acqua e non è normale. Perché quando finisci l’esercizio devi respirare. Devi respirare perché finisci stanca, quasi senza respiro. E lei, invece di respirare, è andata sott’acqua. E io mi sono detta: “Che succede?”. Vedevo che scendeva piano: vado, mi butto. Perché volevo prenderla e portarla su. So nuotare bene, sono veloce. Sono stata medaglia d’argento olimpica. Prima della gara le avevo detto di dare tutto, non troppo».

Attimi drammatici

Cosa succede in quegli istanti che hanno rischiato di essere fatali? « Voleva respirare. Ma non riusciva a farlo. Aveva però il cuore che batteva, ma non respirava. Le dicevo Anita sveglia! Ma non si svegliava. Cercavo di aprirle la bocca perché la teneva chiusa. Ho girato la testa, per farle uscire l’acqua che le era entrata, così che potesse respirare. Poi continuavo a urlare “Anitaaaa svegliaaa mentre cercavo di portarla a bordo vasca”. Alla fine ha iniziato a sentirsi meglio, l’equipe medica l’ha presa, hanno controllat­o il cuore, la pressione, l’ossigeno, il glucosio, lei stava bene ma ancora frastornat­a, respirava a fatica. Poi le hanno premuto il dito mignolo, in maniera forte, un modo per svegliare il corpo e che crea adrenalina, si preme forte per far svegliare chi sviene. A quel punto, Anita ha urlato forte e lì mi sono tranquilli­zzata: “ok, sta bene”».

La perfezioni­sta Un soccorso provvidenz­iale contro regole talvolta discutibil­i a bordo vasca: tanto che la Fina dovrebbe consentire adesso l’intervento immediato dei giudici per agevolare i soccorsi. La vicenda sta facendo molto discutere, ma l’allenatric­e spagnola ha una risposta a tutte le domande sul caso: «Nel nostro sport c’è molto movimento, il cuore va a tutta e non respiri, allora succede. Perdi 2-3

i sensi. L’atleta vuole trovare il limite. Vuole scoprire cosa può fare il suo corpo. E a volte ti dice: puoi arrivare fin qui. Anita è andata oltre e ha perso conoscenza». Anita è un’agonista di razza. Viene da New York, è di origini messicane. È la veterana del team: «Le piace il triathlon. Va in bici. Le piace superare il limite. Non ho mai visto una che macina così tanti chilometri. Le piace scoprire posti». La Fuentes e la giornata più difficile: «Lei non si ricorda nulla della gara - racconta -, solo l’ultimo momento in cui ha fatto un gesto col braccio e mi dice: “Stavo bene, bene”, e faccio ok: bye bye. Dopo non si ricorda più niente. Fino a uno-due minuti che eravamo col ticky. I medici dicono ora che sta bene, anche prima abbiamo fatto altri controlli al cervello, al cuore, tutto. Ma lo ammetto: è stato un grande spavento». Il suo miglior risultato in carriera coincide con il momento più rischioso della sua carriera: «Era stata a Rio, a Tokyo, e adesso per la prima volta stava facendo un risultato migliore di quello del giorno prima. Ora vuole gareggiare. Le ho detto “Ma aspetta, per favore”. E lei mi risponde “per favore, per favore fatemi gareggiare. Voglio finire i Mondiali a testa alta”. Cosa ha deciso l’allenatric­e? «Prima deve parlare con i genitori e la squadra, non voglio che le ragazze siano spaventate, ma devono essere sicure e tranquille nell’affrontare la prova, non preoccupat­e del fatto che Anita possa sentirsi di nuovo male. Anita è una ragazza generosa e lavoratric­e. Perfezioni­sta. Troppo». A costo di morire?

Se svieni in acqua non è come nella maratona o nel ciclismo

Le ho detto di dare tutto, non troppo Anita si lancia sempre più in là Andrea Fuentes allenatric­e squadra Usa sincronett­e

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Attimi di paura 1 L’intervento di Andrea Fuentes, 39 anni. che soccorre la sincronett­a Anita Alvarez, 25
Insieme all’allenatric­e interviene un’altra persona per portare fuori dalla piscina l’atleta 4 I medici presenti all’impianto portano le cure all’atleta
AFP-LAPRESSE-GETTY 3 4 Attimi di paura 1 L’intervento di Andrea Fuentes, 39 anni. che soccorre la sincronett­a Anita Alvarez, 25 Insieme all’allenatric­e interviene un’altra persona per portare fuori dalla piscina l’atleta 4 I medici presenti all’impianto portano le cure all’atleta
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