Tamberi lascia il papà-allenatore «Vedute diverse, scelta meditata»
Decisione traumatica dell’olimpionico dell’alto a dodici giorni dai Mondiali «Attriti già in passato e un 2022 deludente: ora mi farò affiancare, poi vedrò»
Un fulmine a ciel sereno? Non proprio, per chi è un po’ addentro alle cose dell’atletica tricolore. Ma la scelta fa comunque rumore. Le strade di Gianmarco Tamberi e di papà Marco, nella versione atleta-allenatore, si separano: a dodici giorni dalla qualificazione dell’alto maschile di venerdì 15 ai Mondiali di Eugene, appuntamento clou della stagione. È il campione olimpico, con un comunicato, ad annunciarlo. «È una decisione che stavo considerando da tempo – scrive – perché in questi anni di collaborazione, a grandi risultati si sono alternate altrettanto grandi divergenze. Questa scelta alla vigilia dei Mondiali, presa con doverose cautele e un pizzico di coraggio, nasce dall’analisi della stagione fin qui disputata. Siamo ben al di sotto delle aspettative tecniche, c’è stato uno scambio di opinioni su cosa non stesse funzionando fin qui nella preparazione ed è emersa una diversità di vedute. Non voglio in alcun modo compromettere la gara più importante dell’anno, insistendo su una strada che non ritengo giusta e mangiarmi le mani a posteriori per non avere avuto il coraggio di prendere in mano la situazione. Questo c’è alla base della mia decisione».
Fedeltà Il rapporto tra i due, quello in pedana in qualche modo imprescindibile da quello personale, non è mai stato semplice. Anche se Gianmarco non ha avuto altri allenatori da quando, nella primavera 2009, a 16 anni, decise di fare sul serio con l’atletica a discapito del basket. Del resto, in casa, aveva papà, che del salto in alto era stato finalista olimpico (15° a Mosca 1980) e primatista italiano indoor (con 2.28 nel 1983). Non è un segreto: lo scorso anno, dopo la tappa di Diamond League di Montecarlo, dove Gimbo fu 7° con 2.21, non si arrivò alla rottura per un soffio. Solo 23 giorni più tardi si sarebbe scritta la favola di Tokyo e dell’oro a cinque cerchi condiviso con Mutaz Barshim. Pensando alle frizioni tra i Tamberi – caratterialmente troppo simili perché tensioni e conflitti non siano all’ordine del giorno - è servita per mettere la polvere sotto al tappeto. Non per risolvere la situazione. Che si andasse avanti non è stato scontato nemmeno dopo il trionfo dei Giochi.
Problemi La goccia che ha fatto traboccare il vaso risale al 24 giugno a Rieti, alla vigilia degli Assoluti: Gianmarco, nell’ultima rifinitura, ha avvertito il riacutizzarsi del dolore tra sartorio e quadricipite della gamba sinistra, all’altezza dell’inserzione. Marco gli ha allora suggerito di rinunciare alla gara; lui - dopo il via libera ottenuto con un’ecografia d’urgenza - ha voluto esserci lo stesso, conquistando il sesto titolo italiano all’aperto e litigando con Marco Fassinotti. La diversità di vedute tecniche col padre - che per ora preferisce non commentare - si rifaceva invece soprattutto alla velocità con cui affrontare la prima parte di rincorsa.
Ringrazio Marco, a Gimbo daremo tutta l’assistenza necessaria Stefano Mei Presidente Fidal
Decisione che merita rispetto, valuteremo cosa sarà meglio fare Antonio La Torre Direttore tecnico azzurro
Scenari Gianmarco va oltre. «Non mi spaventa il fatto di essere affiancato in pedana da un altro allenatore – aggiunge -: è già successo molte volte in questi anni, per diversi motivi e questa evenienza non mi ha mai precluso la possibilità di fare prestazioni di alto livello (due record italiani, ndr), altrimenti non avrei mai fatto questa scelta. La priorità attuale è sistemare il problema fisico che ho alla gamba di stacco, unico eventuale impedimento alla possibilità che a Eugene superi misure competitive». Gimbo oggi stesso tornerà a Monaco di Baviera per un nuovo consulto col dottor Hans-Wilhelm MüllerWohlfahrt. Da lì, tra un paio di giorni, volerà direttamente a Eugene, dove insieme agli altri saltatori e ai lanciatori azzurri potrà allenarsi nell’impianto che ai Mondiali servirà quale campo di riscaldamento. «Ora concentrerò tutte le mie energie sull’obiettivo iridato – spiega – senza distrarmi su quale potrà essere la figura tecnica che mi affiancherà dopo il 2022 nella preparazione. Gareggiare supervisionato da un altro allenatore non è un azzardo, nella nostra disciplina il coach è essenziale in tutte le fasi di allenamento e programmazione, in gara sono gli automatismi e le sensazioni dell’atleta a essere i veri fattori determinanti ai fini della performance. Sono un agonista e calcolo ogni rischio». Con Claudio Mazzaufo caposettore, l’unico tecnico italiano dell’alto in Oregon sarà Stefano Giardi, coach di Elena Vallortigara. Ma il più, per l’olimpionico, sarà trovare chi possa riprendergli i salti e mostrarglieli. Con una concorrenza che non pare irresistibile, c’è un oro da vincere. È l’ultimo che gli manca.