Pogacar versione Nibali Il campione che parla alla bici
Nibali aveva già capito tutto, perché lui è uno dei grandissimi. Nell’intervista alla Gazzetta, lo Squalo era stato chiarissimo: «Pogacar vi sorprenderà». E così la tappa del Tour con undici settori di pavé della Parigi-Roubaix regala spettacolo autentico, dove l’aspetto tecnico si fonde con la sofferenza, la fatica estrema, il dolore, l’eroismo. Attenzione: 19 km di pietre in una tappa del Tour non sono la Roubaix, e non dobbiamo fare paragoni. Però Tadej Pogacar, sloveno di Komenda, 23 anni, il campione che sta ridisegnando i confini del ciclismo moderno, ha dimostrato che cosa sappia fare chi parla alla bicicletta. Vi ricordate Nibali otto anni fa nel fango e tra la pioggia proprio di questa tappa, in maglia gialla?
I francesi scrissero “Dantesque”, cioè qualcosa che assomigliasse al viaggio nell’inferno e ritorno. Vincenzo non aveva mai disputato la Roubaix, eppure diede lezioni di equilibrio, coraggio e tecnica. Così come Pogacar ieri, che la Regina delle Classiche l’aveva ammirata solo in televisione.
A parte la condizione fisica, che deve essere massima, Tadej
affronta le pietre con la tensione che gli scivola sulla pelle, esattamente come lo Squalo. Quando alla vigilia dice «non stressiamoci», è vero. Nibali dormiva prima delle
cronometro, mentre gli avversari si tormentavano nell’attesa, e Pantani non ha mai perso tempo a studiare le salite in tutta la sua carriera, perché sapeva benissimo come affrontarle: di petto, conscio delle sue qualità. Quale tattica? Farsi portare nelle prime posizioni e via. A tutta fino in cima, per abbreviare l’agonia. Certo, in una giornata così la fortuna non è un secondaria: basta vedere che cosa è capitato al povero Roglic, che con coraggio si è rimesso a posto la spalla sinistra lussata. Quante volte Nibali ha evitato cadute con un colpo d’occhio o la reattività del corpo? Un campione non lo è solo un giorno, ma sempre.
La prima settimana era quella che Pogacar temeva di più. Pioggia, vento, attacchi, ventagli, insidie, imboscate, persino il Covid: questi erano i temi al via da Copenaghen. Squadroni come la Jumbo-Visma di Van Aert, Roglic, Vingegaard, Kruiswijk, oppure la IneosGrenadiers di Thomas, Ganna, Pidcock e Van Baarle erano sicuramente più preparati per lo scontro frontale. Ma dopo la mini-Roubaix di ieri, ne escono a pezzi: Pogacar è la maglia gialla virtuale che domani, a La
Super Planche des Belles Filles, potrà diventare realtà.
C’è un momento in cui le qualità tecniche di Pogacar sono apparse cristalline. Non soltanto il passo felpato e leggero con cui volava sulle pietre, ma in una curva a destra: era in fuga con il bravissimo Stuyven, re della Sanremo 2020, un fiammingo che vive di freddo e pavé, e l’ha superato all’esterno, tra pietre, sabbia e asfalto, con una capacità analitica della traiettoria e dello spazio dove mettere le ruote. Quell’istante dimostra quanto “Pogi”, 23 anni, che giù dalla bici è un ragazzo come tanti altri, innamorato di Urska, fosse lucido. I 13” all’arrivo sarebbero potuti essere almeno 40 in più su Vingegaard, se Van Aert in maglia gialla non fosse intervenuto in prima persona per salvare il compagno danese (e poi la sua maglia gialla). Ma negli occhi quel Pogacar in bianco è sembrato davvero l’angelo del pavé.