GIGANTE POGACAR DANZA SUL PAVÉ «CHE GIORNATA» TUTTI AI SUOI PIEDI Polvere di s Tella
Al debutto sulle pietre impressiona come Nibali nel 2014: guadagna 13”, Van Aert salva Vingegaard. Roglic eroico: si lussa una spalla, se la rimette a posto e riparte
a Parigi-Roubaix non l’ha mai corsa. E su quelle pietre leggendarie in gara non aveva mai pedalato, prima di ieri. Eppure è sembrato che fossero da sempre nel suo giardino, nel giardino di Tadej Pogacar, perché questo forse più di ogni altro è il mestiere dei fenomeni: farsi beffe delle verità precostituite e rendere possibile l’impossibile, come dominare il pavé allo stesso modo di salite lunghe, discese, strappi, cronometro, classiche, tappe, grandi giri. Cioè tutta la varietà del ciclismo. Il 23enne sloveno della Uae-Emirates è uscito da gigante dal quinto episodio del Tour de France, esaltato dalla polvere dei 19,4 km di pavé in 11 settori e conclusosi davanti alla Foresta di Arenberg. Non ha vinto, non è andato in maglia gialla, e alla fine dei conti sulla maggior parte dei rivali per il tris consecutivo a Parigi ha guadagnato pochino, 13”. Ma trattasi di dettagli, minuzie rispetto all’ennesima esibizione da fuoriclasse che è stato capace di mettere in scena: ricordando alla lontana se vogliamo pure il Vincenzo Nibali 2014, anche se sotto la pioggia lo Squalo scavò distacchi ben maggiori rispetto a quelli registrati ieri. L’attitudine però è stata simile. «Non c’è dubbio che sia stata una giornata buona per me», ha ammesso a caldo Pogacar.
Palcoscenico Doveva essere il giorno del grande assalto della Jumbo-Visma, obbligata a mettere in difficoltà Tadej su un terreno sulla carta più favorevole prima delle montagne (già domani ci sarà la Super Planche des Belles Filles). Invece no: la maglia gialla Van Aert è caduta già prima del pavé («E ho perso fiducia, confidenza») e nel risalire ha rischiato l’impatto contro una macchina della Dsm; Vingegaard ci ha messo un bel pezzo a cambiare bici (gliene avevano data una non della sua taglia, a lui si era incastrata la catena ed è andato un po’ nel panico); Roglic è caduto sulle strade del Tour come già in passato, ai meno 30: una motostaffetta ha spostato una balla di fieno e lui come tanti altri ne ha fatto le spese. Lo sloveno si è addirittura ‘aggiustato’ da solo la spalla sinistra che gli era uscita – sedendosi sulla sedia di uno spettatore - e da Pogacar ha perso 2’08”; Van Aert è riuscito a prodursi in un finale eccellente salvando il primato e permettendo a Vingegaard – e non solo – di contenere le perdite mentre Simon Clarke (a 48,6 di media!) aveva ragione dei fuggitivi e viveva la sua giornata di gloria a quasi 36 anni. Ma su questo e tutto il resto non poteva che emergere la figura del ragazzo di Komenda, il campione sloveno benedetto da un talento universale. chilometri su strade così: c’è chi si chiede se sia mai stato in tutta la corsa oltre la ventesima posizione… Di sicuro si è messo alla ruota di Alberto Bettiol – vincitore del Giro delle Fiandre 2019 – già nel primo degli undici settori come un veterano del pavé. Nel sesto idem – il toscano ce lo racconta a fianco ‘da dentro’ – mentre nel terzo (uno dei due a quattro stelle di difficoltà) ha menato le danze come un satanasso con Jasper Stuyven, altro uomo da Nord, arrivando ad avere un minuto sul gruppo inseguitore prima che Van Aert riuscisse a limitare i danni. E nonostante la UaeEmirates non sia parsa all’altez
Un campione capace di esaltarsi su tutti i fronti
za del capitano, anche se il team manager Mauro Gianetti non la pensa così: «McNulty sarebbe stato con lui ma è caduto, Bjerg non stava bene, ci mancava Trentin…». Pogacar ha poi dettagliato così in zona mista: «Sono stato fortunato che non mi sia successo niente, perché lo temevo. Prima del pavé la squadra mi ha aiutato bene, e in fondo il primo obiettivo per questa tappa era sopravvivere, non perdere tempo. E alla fine ho guadagnato addirittura, anche se non molto. Ho sentito delle cadute, non sapevo che fosse stato coinvolto Roglic e poi sono cominciati gli attacchi sulle pietre. Sono stato concentrato sulla mia gara, il momento chiave è stato sicuramente quando sono riuscito ad andare via con Stuyven (il belga che ha poi chiuso al sesto posto, ndr)».
Piani Quando è arrivato al bus del team, sempre in maglia bianca, quello è stato il momento dei complimenti e della soddisfazione di tutti. Abituato a fare il vuoto in salita, Pogacar ha fatto a cronometro meglio di Ganna – e l’anno scorso al Tour vinse la prima prova contro il tempo – e quest’anno aveva impressionato al debutto al Fiandre, giocandoselo fino alla fine con Mathieu Van der Poel. Quanto ai discorsi sull’esperienza necessaria che serve in giornate del genere, cosa possono mai contare per chi è stato capace di vincere il Tour de France alla prima partecipazione nel 2020? Della generazione dei ‘nati pronti’ lui è il leader indiscusso. E già al mattino, al via di Lilla, i più attenti avevano cominciato a intuire come sarebbe andata. È stato quando Tadej si è presentato sotto il palco con il sorriso largo e lo sguardo brillante. Poche parole: «Ci divertiremo». È la sua filosofia: lo sta portando dritto nella storia.