La Gazzetta dello Sport

Nadal perde contr O il dolore

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Quindi, malgrado il cauto ottimismo filtrato nel primo pomeriggio, la decisione è obbligata: «L’infortunio non mi permette di essere competitiv­o come vorrei, non è pensabile di poter vincere due partite di altissimo livello così ravvicinat­e nelle condizioni in cui sono adesso. E siccome io non gioco per alzare i trofei, ma perché amo quello che faccio, per rispetto di me stesso mi è sembrato giusto non rischiare di peggiorare e magari compromett­ere il lavoro dei prossimi mesi, adesso che il guaio al piede sinistro è diventato più gestibile. Sono triste, ma è la scelta corretta». È la settima volta in carriera che Nadal si ritira prima di giocare una partita, mentre per nove volte ha abbandonat­o un match in corso d’opera. Lo stesso infortunio agli addominali gli era già capitato agli Us Open del 2009, e proprio quell’esperienza, con 13 anni e una lunga litania di guai fisici in più sulle spalle, gli ha consigliat­o l’approccio più prudente: «Allora, cominciai con una piccola lesione e finii con uno strappo di due centimetri, in pratica senza potermi muovere come volevo in semifinale (e infatti fu travolto da Del Potro, ndr). Per la mia esperienza, ci vorranno tre o quattro settimane per il recupero completo, quindi credo di poter rispettare il calendario già programmat­o giocando il Masters 1000 di Montreal». Non è certo un’annata benedetta per Wimbledon, che aveva già perso

alla vigilia un altro dei favoritiss­imi, il nostro Matteo Berrettini, fermato dal Covid.

Questione di tifo Per la prima volta dal 1931 Wimbledon non avrà dunque una delle tre partite conclusive, una sorte avversa che priva lo Slam londinese di una delle sfide più attese, appunto quella tra Nadal e Kyrgios, due che certo non si sono mai amati e che su questi prati soi sono incrociato già due volte. Nel 2014 l’allora diciannove­nne australian­o, negli ottavi, travolse a sorpresa con 37 ace e 70 vincenti un Rafa già carico di onori e gloria, lasciando presagire una carriera da superstar poi oscurata da troppi problemi personali, almeno fino a quest’anno. Nel 2019, al secondo turno, con Nick recuperato dal manager alle quattro di notte ubriaco in un pub, il satanasso maiorchino si prese la rivincita in una partita surriscald­ata dalle storie tese di quattro mesi prima ad Acapulco, tanto che l’australian­o provò addirittur­a a tirargli un passante in pieno petto senza scusarsi. Il Nick della nuova consapevol­ezza personale, però, ha limitato di molto le mattane (anche se si è preso 13.200 euro di multa per lo sputo a uno spettatore e per la lite con Tsitsipas) e davvero possiede gli atout per emulare Lleyton Hewitt, ultimo Aussie in trionfo sul Centrale giusto quarant’anni fa, chiunque esca vincitore dall’altra semifinale. Però quello degli inglesi è uno strano destino: si ritroveran­no di nuovo a fare il tifo, come già accadeva con lo scozzese Murray, per qualcuno che non possiede tutti i loro quarti di nobiltà. Norrie, infatti, seppur figlio di inglesi, è nato in Sudafrica e a tre anni si è trasferito in Nuova Zelanda, dove è cresciuto e si è formato come giocatore, prima di scegliere il passaporto britannico perché la federazion­e, ovviamente, gli garantiva più certezze economiche. Allenato dall’argentino Facundo Lugones, conosciuto al college in America quando tutti e due studiavano Economia, è esploso nel 2021 vincendo a Indian Wells, fino all’approdo in top ten e alle Finals, da riserva, dove poi è subentrato a Tsitsipas giocando proprio contro Djokovic. Mancino, potrebbe dare fastidio al serbo con quel suo rovescio piatto e senza peso: «Penso di avere le armi per poter mettere in difficoltà Nole». Che, dal canto suo, malgrado i sei titoli a Church Road, passerà un altro pomeriggio da separato sul Centrale: «Una semifinale sul campo più prestigios­o di uno Slam, e nel suo Paese. So cosa aspettarmi in termini di supporto della folla. Ma voglio prendere la partita per quello che è, un momento di spettacolo, perciò ci devo arrivare al meglio. Ma io qui mi sento sempre molto motivato e ispirato, perché probabilme­nte è il più importante torneo nella storia del nostro sport e quello che mi ha dato la spinta, da ragazzino, a giocare a tennis: scendere in campo qui è sempre stato il mio sogno d’infanzia». Senza Rafa, rimane l’ultimo titano di questo tempio. Con il vecchio mondo sulle spalle.

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Una poltrona per tre Da sinistra: Nick Kyrgios, 27 anni, in carriera non ha mai giocato una semifinale di uno Slam; Novak Djokovic, 35 anni, sei volte trionfator­e a Wimbledon; Cameron Norrie, 26 anni, alla prima semifinale

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