La Gazzetta dello Sport

Di Beppe Bergomi

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l Mondiale del 1982 è un album pieno di istantanee che non dimentiche­rò mai. La prima però, quella che mi viene subito alla mete, mette insieme due figure iconiche per me. Mio padre Giovanni ed Enzo Bearzot, il nostro c.t. di quella bellissima Nazionale. Ero rimasto orfano di papà da poco tempo, due anni prima all’età di 16 anni. Bearzot era una persona molto sensibile, era a conoscenza della mia situazione anche se io ero totalmente concentrat­o sul Mondiale.

Ha saputo essere un padre per me pur essendo duro e severo. I suoi insegnamen­ti non li ho mai scordati e vivono sempre in me. E’ innegabile che la figura di Bearzot arrivi per prima nei ricordi di quel Mondiale. Fu una persona che ebbe coraggio. Una persona di spessore prima che un grandissim­o allenatore. Il suo coraggio fu duplice. Da un lato nel portare Paolo Rossi, dall’altro di lasciare a casa elementi di qualità come Evaristo Beccalossi e Roberto Pruzzo. E da questo coraggio nacque un gruppo che giocava da squadra. Io avevo esordito in Azzurro il 14 aprile del 1982, pochi mesi prima del Mondiale. Però avevo capito che sarei potuto restare nel gruppo. Bearzot mi disse che sarei stati la riserva della riserva: ai tempi solo cinque andavano in panchina, gli altri si sedevano in tribuna. Ero la riserva di Pietro Vierchowod, poi il suo infortunio mi fece scalare di una posizione nella gerarchia interna. E io in quel gruppo ero il più giovane, anche per questo ho cercato di farmi volere bene. Ringrazio tutti infatti per l’inseriment­o, specialmen­te Gianpiero Marini, mio compagno di stanza al Mondiale, e i compagni dell’Inter, Altobelli, Oriali e Bordon.

Ho vissuto quell’esperienza con un po’ di leggerezza e di incoscienz­a, dettate dall’età. Ma ero così concentrat­o sul campo che quando mi disse che avrei dovuto marcare “il biondino”, come lo chiamava lui, Rummenigge o Serginho o Lato… ero pronto. Non è che non sentissi la pressione, ma era comunque tutto convogliat­o dentro a un flusso generale di positività che si percepiva.

Nonostante le critiche esterne attorno alla nostra squadra Bearzot riusciva a difenderci sempre, sia privatamen­te sia pubblicame­nte. Ed era un grande allenatore, forse rivalutato solo nel corso degli anni. Parlo da ex difensore: sapeva scegliere le marcature, sorprendev­a gli allenatori avversari mettendo sui giocatori più forti chi magari non ti aspettavi. E sapeva motivarti. Ricordo ancora i colloqui individual­i sul pullman per esempio, durante gli spostament­i. Parlava con tutti, uno a uno. Il clima era ottimo anche per quello. Il ritiro era sereno, ci bastava la chitarra di Marini, le carte, il ping pong e il biliardino. E non eravamo viziati. Ricordo che quando eravamo a Barcellona in ritiro si ruppe l’aria condiziona­ta dell’albergo. Faceva un caldo terribile, in stanza entrò una zanzara e Marini per tentare di ucciderla saltava sui letti fino a sfondare il mio. Dormii alcune notti tutto storto...

Tutto questo per dire che il gruppo era sanissimo, forse anche per questo abbiamo superato l’avvio così così e poi abbiamo superato le squadre più forti. La chat di whatsapp che adesso ci tiene uniti, gestita da Spillo Altobelli, testimonia che nonostante siano passati 40 anni siamo ancora qui, uniti. E io ero il più giovane, insieme con Franco Baresi i più giovani. Eppure io sono l’ultimo che ha toccato il pallone di gioco della finale prima che l’arbitro lo prendesse in mano, sono il terzo dopo Zoff e Gentile ad attendere il mio turno per sollevare la Coppa, sono in attacco quando segna Tardelli il gol festeggiat­o con l’urlo e meno male che Scirea la passa lui e non più a me.

Non era un periodo semplice per l’Italia di quegli anni. A livello sociale c’erano molte tensioni e da lontano a noi arrivavano gli echi dell’entusiasmo che stavamo alimentand­o con il Mondiale. Eravamo orgogliosi di portare sorrisi e gioie agli italiani. Una gioia che ho riscontrat­o al ritorno a casa, nel mio piccolo paese di Settala, in provincia di Milano. Strade chiuse, la gente in strada per festeggiar­e il mio ritorno. Saltai dentro ai cortili e sui balconi dei vicini per raggiunger­e casa mia. Vorrei chiudere il mio ricordo con un pensiero per Paolo Rossi e uno per Gaetano Scirea. Ci mancano entrambi. Paolo era solare, amava la vita. Gaetano era ironico, di poche parole ma carismatic­o. Saranno sempre con noi.

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