Se le azzurre del calcio battono i campioni del 1982
Le azzurre del calcio, probabilmente ancora un po’ stordite dalla scoppola ricevuta dalla Francia, si possono consolare con la scoperta di avere battuto nientemeno che i campioni del mondo del 1982. Come ascolti televisivi. I paragoni in questo caso hanno un senso perché si tratta di due trasmissioni andate entrambe in onda in prima serata e su RaiUno, la rete più importante e seguita, nella stessa stagione estiva e a sole 24 ore di distanza. Il Viaggio degli eroi, il docu-film dedicato alla fantastica e trionfale cavalcata della Nazionale di Bearzot, ha avuto 2.250.000 telespettatori (14,4% di share), la partita inaugurale dell’Italia all’Europeo femminile è stata seguita da 2.648.000 persone (18,1% di share), che erano addirittura 3.260.000 durante il primo tempo poi finito 0-5. Potenza del calcio giocato, certo.
Non siamo ancora ai 6 milioni e mezzo di Italia-Brasile del Mondiale del 2019, ma questi numeri (cui poi vanno aggiunti i dati di ascolto di Sky) confermano quanto il calcio femminile italiano in parte sia già cresciuto, ma soprattutto quanto ancora possa crescere.
La Nazionale di Milena Bertolini è stata un traino importante: in questi anni ha
sempre ottenuto risultati superiori al livello complessivo del movimento, al contrario di quanto fatto troppo spesso dai colleghi maschi. Ma il numero delle tesserate resta veramente basso. Siamo intorno alle 32.000. Rispetto alle quasi 200.000 di Paesi come Germania, Inghilterra, Svezia;
alle oltre 160.000 dell’Olanda; alle quasi 150.000 della Francia. Siamo partiti molto più tardi di altri e sono stati fatti miracoli. Ma il tasso di incremento finora non basta a colmare il gap. Negli ultimi cinque anni le praticanti sono aumentate di circa il 35%, rispetto all’82% dell’Inghilterra e all’81% della Spagna (da 32 a 58.000), in ritardo come noi, ma più efficace nella ripartenza.
La mossa decisiva, e praticamente unica nel panorama europeo, è stata l’obbligo, introdotto nel 2015, per le società professionistiche di dotarsi di una sezione femminile, anche nei settori giovanili. Oggi club metropolitani come Juventus, Inter, Milan e Roma contano fino a 200 calciatrici tesserate. Assai meno incoraggiante la situazione nei centri minori. Da allora, si sono fatti molti passi avanti. L’ultimo, il più eclatante dal punto di vista della tutela dei diritti e dei principi di parità di genere, è stato l’introduzione del professionismo. Sacrosanto. Ma quanto sostenibile? È stato calcolato che comporterà un aumento di costi del 40-50% per i club, che già hanno mediamente spese doppie rispetto ai ricavi. E se per i grandi eventi gli spettatori davanti alla tv sono davvero tanti, gli stadi per le partite di campionato sono quasi vuoti.
L’obiettivo principale dovrebbe oggi essere quello di convincere scuole e famiglie a superare vecchi tabù e incoraggiare a giocare anche le femmine fin da piccole. Dalla parte delle bambine.
P.S. La scorsa settimana il “Calcio di rigore” dedicato all’acquisizione del Palermo da parte del City Group emiratino conteneva un’informazione parzialmente inesatta. Le regole Uefa continuano a vietare la partecipazione alle Coppe europee, anche diverse, di squadre che abbiano la stessa proprietà, ma ora prevedono un’unica eccezione: se una delle formazioni del gruppo – in questo caso può essere il Manchester City – si garantisce l’ammissione diretta alla fase a gironi della Champions League, un’altra – il Palermo – può prendere parte, se ne ha diritto sportivo, alla Conference (ma non all’Europa League).