«COVERCIANO SBAGLIA NON PREMIA IL MERIT0 IO, KLOPP E ZEMAN NON ALLENEREMMO»
L’ex c.t. critica la regola per cui per arrivare a fare il supercorso da tecnici bisogna avere giocato in Serie A o in B
HA DETTO
Italia è un Paese tanto bello quanto strano. Contraddittorio, perlomeno osservando ciò che accade nel calcio. Chi vuole ottenere il patentino da allenatore di Prima Categoria Uefa Pro, cioè il massimo, deve avere nel curriculum un certo numero di partite giocate in B, in A o in Nazionale. Ne consegue che Arrigo Sacchi, e prima di lui Helenio Herrera, e ancora Zdenek Zeman, Alberto Zaccheroni, Sven Goran Eriksson o Jurgen Klopp oggi non potrebbero laurearsi a Coverciano. Considerando ciò che questi signori hanno dimostrato (e vinto), questa rigidità assomiglia tanto a un autogol.
3 Sacchi, lo sa che lei non avrebbe il patentino, stando alle regole attuali?
«Lo so, e questa è una situazione ridicola, oltre che ingiusta. Non capisco: ma per essere un bravo fantino devo essere stato un cavallo? Qual è il criterio? Io avrò fatto onore al calcio italiano o no? Eppure non ho mai giocato oltre la Quarta Serie. In questo sistema sento lo sgradevole puzzo delle consorterie e del clientelismo, che sono cose tipicamente italiane».
3Come risolvere il problema?
«C’è un solo metodo: liberalizzare. Il nostro calcio ha bisogno di rinnovarsi per continuare a generare interesse. E per rinnovarsi ci vogliono le idee. Siamo sicuri che un medico, un ragioniere o un idraulico, dopo un adeguato corso di formazione al quale deve seguire un esame serio, al termine del quale si può anche essere bocciati, mica come oggi che vengono tutti promossi, che questi soggetti non possano portare al calcio nuove idee? Si deve svecchiare l’ambiente, aprire le porte e le finestre, fare entrare aria fresca. Altrimenti resteremo sempre prigionieri del passato e dei soliti luoghi comuni».
3Il calcio italiano sta perdendo appeal presso il pubblico?
«Direi proprio di sì. Quando un bambino mi ferma per strada e mi chiede l’autografo e una foto, io gli domando sempre: “E tu giochi?”. Prima mi rispondevano tutti di sì. Oggi, invece, sempre più spesso mi dicono: “Eh no, non faccio calcio...”. Giocano a tennis, a pallavolo, scherma. Si indirizzano verso altri sport e noi abbiamo il dovere di fermare questa emorragia».
3Lei ha parlato di consorterie e clientelismo. Ci può spiegare?
«Faccio una domanda: io, Zaccheroni, Zeman e altri abbiamo portato qualcosa di bello a questo sport? Credo di sì. E allora non sarebbe meglio avere tante figure professionali di questo tipo, anziché limitarle? Il fatto è che si chiudono le porte ad alcuni e si aprono portoni ad altri... Siamo in democrazia? Sì, e qui mi spiegate dove sta la democrazia se uno non può ottenere, attraverso
il merito e la conoscenza, ciò che desidera. A meno che il merito non sia aver collezionato due presenze in Serie A o una in Nazionale... Ma lo sapete che il figlio di Ancelotti non è stato ammesso a Coverciano?».
3Ci racconti.
«Lui non ha mai giocato in A e nemmeno in B, ma è da diversi anni che fa il secondo di suo padre e mi pare che abbia contribuito non poco ai successi del Real Madrid: basta leggere che cosa dicono di lui i giocatori. Bene, per avere il patentino di Uefa Pro è dovuto andare in Scozia. Vi sembra normale? Ma dove crediamo di arrivare se continuiamo a mettere delle barriere? Ci sono gli esempi del sottoscritto, di Zaccheroni, di Zeman, di Mourinho, di Eriksson, di Klopp: non mi risulta che siano stati giocatori di alto livello, eppure sono grandi allenatori».
3Perché accade tutto ciò?
«Perché l’Italia, in tutti i campi, è un Paese che non premia il merito e dove è impossibile fare squadra. Il calcio potrebbe essere d’esempio ad altri settori, ma servono forze nuove. Basta invidie, basta gelosie. In questo periodo storico sono necessari sentimenti nobili che si traducono poi anche in diverso modo di stare in campo. Perché dopo un gol devo sempre vedere le squadre italiane che si chiudono in difesa? Attacchiamo, mostriamo coraggio... E facciamolo anche liberalizzando la professione dell’allenatore: ne potranno venire solo cose buone».
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