I colpi a sorpresa del presidente silenzioso Friedkin sa come fare grande la Roma
Non era ancora nato, Dan Friedkin, quando il suo connazionale — Ernest Hemingway — vinceva il Pulitzer ed il Nobel per la letteratura. Come tutti, o tanti, deve però aver letto il suo “Vecchio e il mare”, o avrà almeno ascoltato una delle sue frasi più famose. “Ci mettiamo due anni per imparare a parlare, e altri cinquanta per imparare a tacere”. Pillole di saggezza che devono avere ispirato la sua fortunata, felice, illuminata attività imprenditoriale. Perché con il suo stile di americano atipico, un silenzio rumoroso, il presidente della Roma sta continuando a stravolgere le abitudini e gli schemi del nostro calcio. Dove abbondano gli slogan, le frasi fatte, le promesse dispensate a piene mani: l’arte di molti dirigenti, anche della precedente gestione giallorossa. Annunci ed interviste, piene di ottimismo, per poi farci chiedere: e allora, tutto qui? Dan Friedkin è — senza giudizi di merito — l’esatto opposto di Pallotta. Puntualmente in tribuna, anche in trasferta, stretto in un rapporto familiare e con il suo modo intimo di sostenere i giocatori, si concede — dopo un gol — al massimo una pacca sulla spalla o un abbraccio a Ryan, suo figlio. Per scivolare poi fuori dallo stadio, lasciando a Mourinho, alla squadra e a Tiago Pinto l’onore di brindare o l’onere di dover spiegare. Una sola volta, probabilmente per non eccedere in riservatezza, si è lasciato trascinare in mezzo al campo. Era lì, a Tirana, quasi imbarazzato di fronte a quella Coppa che continuava a correre di mano in mano, fino ad essere affari — devastante della pandemia. Ci poteva essere un momento meno propizio e incoraggiante del 2020? Friedkin ha deciso però di andare avanti e il 17 agosto ha chiuso con Pallotta. Giusto il tempo di acquistare Smalling e programmare, nel suo caso è vero, un anno di studio e transizione. Già, perché poi l’accelerazione è stata straordinaria e, sempre nel silenzio, il presidente della Roma ha piazzato — oltre alla campagna in cui, compreso Abraham, ha investito una novantina di milioni — i suoi tre colpi. L’ingaggio di Mourinho, che ha mandato in pezzi usanze e convenzioni: con un tecnico, una leggenda, interprete (lui sì) della voglia — e delle ambizioni — della proprietà. È poi passato al progetto dello stadio, rinunciando a costruirci intorno un quartiere o una città, dimostrando che — silenziosamente e fissando un obiettivo — si può arrivare a dama. E poi, sovrapponendo la cronaca e la storia, è andato a prendersi Dybala, una stella in campo e un marchio internazionale fuori, come il suo allenatore. Due personaggi, José e Paulo, che sono il modo più straordinario per accompagnare il nome della Roma in giro per il mondo. Senza però dimenticare, anzi, quelli che — ogni domenica — sono pronti a testimoniare, a ribadire, il loro amore per la squadra. Prezzi contenuti, iniziative, per parlare — in questo caso sì — alla propria gente. Che sa riconoscere chi ce la sta mettendo tutta per provare a farti grande. E non semplicemente o banalmente a farsi grande.