El Caudillo in Italia è stato in due club Classe, leadership e un sinistro super
Solo Scirea gli era superiore ai suoi tempi. In Serie A ha vestito le maglie di Fiorentina e Inter. Quella squalifica di 5 turni...
Lo chiamavano El Caudillo, per sottolineare la sua attitudine al comando. E un condottiero in campo Daniel Passarella lo è stato, a cominciare da quel Mundial del 1978 conquistato con la fascia da capitano al braccio sotto lo sguardo compiaciuto del dittatore Videla. In Italia sbarcò nel 1982, subito dopo il trionfo degli azzurri di Bearzot in Spagna. Lo acquistò la Fiorentina e con la maglia viola giocò per quattro stagioni, fino al 1986.
Libero di grandissima classe e personalità, all’epoca soltanto Gaetano Scirea gli era superiore. Sapeva difendere, anche facendo la faccia cattiva di fronte agli attaccanti avversari, e sapeva impostare l’azione come gli avevano insegnato in Argentina. In certi momenti della partita diventava un centrocampista aggiunto. Micidiale sui calci di punizione tirati con il suo velenoso sinistro, Passarella aveva la naturale dote di saper guidare non solo un reparto, ma un’intera squadra. La sua voce pesava nello spogliatoio. Nell’estate del 1986 passò all’Inter che, con Trapattoni in panchina, intendeva farne il leader del futuro. L’8 marzo del 1987 incappò in un brutto episodio: a Marassi, durante la sfida contro la Samp, Passarella rifilò due calcioni a un ragazzino che faceva il raccattapalle e non era stato lesto nel porgere la sfera al Caudillo. Si beccò una squalifica di sei giornate (poi ridotte a cinque) e una supermulta.
Da allenatore Chiusa la carriera da calciatore intraprese quella di allenatore. Scoprì al River Plate, tra gli altri, il talento di Hernan Crespo. E da tecnico arrivò in Italia nell’autunno del 2001 per guidare il Parma di Calisto Tanzi. Fu un disastro: cinque partite, cinque sconfitte. Tuttavia, quando venne esonerato il 18 dicembre 2001, rientrò in Argentina con un discreto gruzzolo: cinque miliardi di lire. In pratica, un miliardo per ogni sconfitta. Perdente sì, ma con un ricco conto in banca.