La Gazzetta dello Sport

Vittorie e titoli non sono tutto: che cosa lascia Vettel alla F.1

- Gianluca Gasparini

Il giorno in cui un pilota che ha conquistat­o quattro Mondiali di F.1 e corso sei anni per la Ferrari annuncia il suo ritiro può essere solo un giorno che genera malinconia. A fine campionato Sebastian Vettel saluterà i GP dopo 16 stagioni in cui ha messo insieme grandi successi, momenti felici con il Cavallino (oltre a qualche amarezza) e un finale di partita un po’ in declino con auto poco competitiv­e. Arrivato in F.1 giovanissi­mo, il tedesco ha prodotto imprese notevoli regalando la prima vittoria della sua storia alla Toro Rosso (nata sulle ceneri della Minardi), dominando a lungo con la Red Bull e arrivando a un passo dal riportare il titolo iridato a Maranello. Non è successo, e qualcuno gliene fa ancora delle colpe, ma Seb ha sempre dato il massimo entrando nel cuore dei tifosi della rossa. Su questo non ci sono dubbi. I suoi numeri non sono quelli di Lewis Hamilton e Michael Schumacher, ma in quanto a gare vinte dietro quei due “mostri” c’è lui: qualcosa vorrà pur dire. Fin qui il bilancio agonistico. Ma Vettel nel tempo ha portato alla F.1 - che ha amato tanto - anche altro: la maturità del padre di famiglia, la sensibilit­à di chi è sempre stato attento ai temi sociali, il coraggio di chi è pronto a combattere tutte le discrimina­zioni. La sua presa di posizione un anno fa, proprio a Budapest, indossando una maglietta e un casco arcobaleno dopo che il premier ungherese Viktor Orban aveva introdotto una legge omofoba la dice lunga sulla personalit­à di Sebastian.

La cui prima ragione, per lasciare le corse, è dovuta parole sue - al desiderio «di dedicarmi ai miei tre figli, che voglio ascoltare, aiutare e dai quali voglio farmi ispirare, e a una moglie meraviglio­sa». Non è un caso che ieri, dopo l’annuncio del ritiro, tutto il mondo dei GP (e non solo quello) abbia avuto per lui solo bellissime parole. È difficile non condivider­le.

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