DAI 4 MONDIALI AI DIRITTI SOCIALI «ORA VINCE LA MIA FAMIGLIA»
Quattro volte iridato con la Red Bull e campione di umanità si ritirerà a fine anno «Mi dedicherò a mia moglie e ai nostri 3 figli» «M
i stupisco quando un tifoso mi incontra e mi chiede di scattare un selfie, perché è più bello stringere la mano di una persona». Basta questa frase di Sebastian Vettel, rilasciata in un’intervista alla Gazzetta negli anni in cui correva con la Ferrari, per raccontare l’uomo che si celava dietro al casco da pilota. «Un tedesco dal carattere latino», come lo definì Sergio Marchionne accostandolo ai meridionali. E in effetti Seb non ha mai nascosto le sue emozioni: al volante e fuori dalla macchina. Dopo essere stato il “wonder boy” della Red Bull, cresciuto fin da bambino solo per vincere gare e titoli, si è trasformato con la maturità in un personaggio capace di lasciare un segno più profondo attraverso lo sport. Ecco perché l’annuncio del suo ritiro, alla fine del 2022, ha suscitato la reazione accorata degli altri piloti e di tutto il mondo della F.1, da Stefano Domenicali al presidente Fia Mohammed Ben Sulayem, pur essendo nell’aria da un po’.
Il pilota
Panta rei. Tutto scorre. Lo dicevano gli antichi e ne è consapevole anche Vettel, troppo intelligente per non sapere che la gloria dei trionfi è passeggera. «I miei risultati resteranno finché il tempo non li cancellerà», ha detto ieri nel messaggio web con cui ha detto addio. «C’è una nuova generazione che si sta già affermando». Ma i quattro Mondiali conquistati con la Red Bull fra il 2010 e il 2013 gli valgono un posto importante nella storia dei GP, alla pari con Alain Prost e dietro solo a Juan Manuel Fangio, Michael Schumacher e Lewis Hamilton. È stato uno degli artefici del miracolo del team di Milton Keynes, che l’ha ringraziato mostrando una sua vecchia foto con i trofei esposti in bacheca. Il progetto ruotava attorno al ragazzo delle meraviglie. Perciò è impossibile dire se i meriti di Vettel siano stati ingigantiti dalla macchina di Newey, che era un’astronave, oppure se il tedesco abbia solo raccolto i frutti del suo lavoro. Di certo, la seconda parte della carriera alla Ferrari non è stata altrettanto felice: il sogno di vincere il titolo con la squadra che aveva reso grande il suo idolo Schumacher si è infranto nel 2017 e nel 2018, con una buona dose di colpa da parte di Seb nel secondo caso (ma anche di Kimi Raikkonen). E l’idillio è finito. L’arrivo di Charles Leclerc ha sovvertito le gerarchie interne fino al divorzio, firmato da Mattia Binotto. Sicché l’ultima gioia di Vettel in rosso resta il GP di Singapore 2019, anche l’ultimo dei suoi 53 successi in F.1.
La persona
«Le corse sono state tutta la mia vita, da sempre. Ma, con il tempo, ho fatto crescere i miei interessi fuori dalla F.1. Sono curioso, affascinato dalle persone di talento e ossessionato dalla perfezione. Credo che sia importante chi siamo e come ci relazioniamo con gli altri, piuttosto di che cosa facciamo. Io sono Sebastian, padre di tre figli e marito di una moglie meravigliosa. Il mio colore preferito è il blu. Adoro il cioccolato e l’odore del pane caldo. Amo la vita all’aria aperta. Per tanti anni ho corso con dedizione e concentrazione totali, perché così va fatto e così era giusto, ma ora la mia attenzione è rivolta ai figli e alla famiglia anziché a conquistare altre gare e titoli». Non poteva esserci modo migliore per Vettel di spiegare la propria scelta. È sempre stato geloso del suo privato, come Schumacher, e l’ha protetto dai riflettori. Fama e ricchezza non l’hanno cambiato. Uniche divagazioni la sua Ferrari F40, appartenuta a Pavarotti, e le moto d’epoca. Un eterno ragazzo della porta accanto, sposato con una ex compagna di scuola, e legatissimo ai genitori. Una volta ha raccontato di divertirsi a tagliare l’erba del prato della sua villa in Svizzera e di voler fare un giro turistico in moto sul Passo del San Gottardo. Si è appassionato ai quadri e all’arte contemporanea grazie a Helmut Marko, che lo portò alla Toro Rosso dopo il debutto precoce in Bmw. Da piccolo aveva una voce da cantante («sognavo di diventare Michael Jackson») e al GP di Singapore 2015 si lasciò andare, per festeggiare la vittoria con la Ferrari, rivisitando il ritornello de l’Italiano di Toto Cutugno: «Lasciatemi guidare, perché non sono lento...». Alla Gazzetta ha dichiarato: «La vita è fatta per essere goduta e in questo senso c’è tanto da imparare da voi italiani: la passione per il cibo, la cultura, il piacere della compagnia e l’atmosfera familiare».
Le battaglie
È un eroe dei tifosi ferraristi e di tutti coloro che amano la F.1. Merito della sua grande umanità, della franchezza di certe sue dichiarazioni e dell’ironia che riesce a sfoderare quando meno te lo aspetti. «Posso essere estremamente noioso, ma mi piace far ridere la gente». Negli anni è diventato un punto di riferimento nella Commissione piloti. Non ha mai temuto di esporsi, di prendere posizione, di criticare il sistema se necessario. Si è impegnato per la sicurezza e per cambiare in meglio la F.1. Le battaglie politiche e sociali lo hanno avvicinato molto a Hamilton, rivale delle sfide Ferrari-Mercedes: dall’inchino, uno accanto all’altro, per manifestare contro il razzismo, alle magliette colorate con l’arcobaleno in segno di solidarietà per la comunità Lgbt, fino al casco con la bandiera dell’Ucraina dopo lo scoppio della guerra. «Credo nel progresso. Sono ottimista, penso che gli uomini siano buoni, e tollerante, non importa che aspetto tu abbia, da dove tu venga o chi ami, tutti abbiamo uguali diritti. Viviamo tempi decisivi, che determineranno il nostro futuro. Non vedo l’ora di affrontare le nuove sfide». Buona corsa, Seb.