Missione da c.t. «Partiamo dai vivai per arrivare al top»
Gustavo Spector guida la Nazionale «Ci sono tante potenzialità per crescere»
Una goccia cinese. «Allora? Lo costruiamo o no questo campo da padel?». Una, due, venti volte: «Alla 21esima mi disse "basta con questo padel, mi ha stufato. Vuoi costruire un campo? Costruiscilo"». Gustavo Spector, argentino, è arrivato in Italia come istruttore di tennis più di vent’anni fa, ma in testa ha sempre avuto la "pala", la mitica racchetta del padel. «Quando chiudevo gli occhi vedevo campi ovunque...». Oggi è il c.t. della Nazionale: «I primi due anni ho lavorato gratis, andavo in giro a cercare i giocatori, ma adesso stiamo ottenendo i primi risultati. Serve tempo, ma l’Italia ha potenzialità».
3 Prima del padel, però, ha lavorato in ufficio.
«Per cinque anni ho fatto il broker finanziario».
Ecco, come mai?
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«In Argentina, trent’anni fa, fare il maestro di tennis era considerato un lavoro da ragazzini. A 27 anni avevo aperto un circolo con 4 campi, ma i miei genitori continuavano a dirmi "quand’è che ti metti in proprio?". Quindi mi sono messo in giacca e cravatta e ho iniziato come broker, ma mi sentivo in gabbia».
3 Da lì che ha fatto?
«Per un argentino l’Italia è una sorta di La Mecca dello sport, così nel 2001 ho fatto la valigia e sono partito. Avevo 27 anni, da ragazzino sono stato il numero uno nel tennis della mia regione, Tucumán, e il mio primo torneo di padel l’ho giocato in coppia con il numero due. Poi ho giocato il Mondiale in Spagna. Volevo esportare questo sport».
3 In Argentina già si guadagnava bene, vero?
«Esatto. In Italia ci è voluto del tempo. Nel 2014, quando mi ha chiamato la Federazione, era una scommessa. Ora è una realtà».
Perché il padel piace così?
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«Entri in campo, giochi e ti diverti. È questa la base. Non c’è bisogno di un percorso di un certo tipo per praticarlo. Se giochi a pallone quello meno bravo lo metti in porta, a padel basta che manda la pallina dall’altra parte.
È intuitivo e aggregativo».
E poi giocano davvero tutti.
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«Il fabbro, il sindaco, l’ex calciatore, il poliziotto. Donne e uomini, bambini e anziani. Una volta ho allenato un 70enne, ex tennista. Mi ha detto che non si era mai sentito così bene, neanche sulla terra rossa. In Italia, poi, c’è un circuito femminile molto forte».
3Roberta Vinci è l’esempio migliore.
«In doppio ha vinto quattro tornei Slam, nel 2015 ha perso la finale degli US Open, ma è come se avesse sempre giocato a padel. Cito anche Carolina Orsi, Chiara Pappacena, Giulia Sussarello».
3 Nel padel, argentini e spagnoli sono ancora inarrivabili. Quando riuscirà l’Italia a competere
con i grandi del padel?
«Due parole chiave: numeri e vivai. In Spagna di ragazzi bravi tra i 15 e i 20 anni ce ne sono ventimila, qui neanche mille forse. Bisogna creare generazioni di "padellisti" partendo dai bambini».
3E quindi dalle strutture come la sua, la Spector Padel Academy.
«Volevo creare un luogo dove ogni giocatore si sentisse a casa. Quest’anno abbiamo fatto un lavoro con le scuole. Abbiamo ospitato ragazzi di 8 e 15 anni. A fine lezione gli insegnanti ci hanno detto che quasi ognuno di loro voleva giocare a padel. E prima di allora nessuno aveva mai preso in mano una racchetta. Bisogna creare strutture, maestri, Academy. Così da qui a 10 anni nasceranno giocatori».
3Che ne pensa del Premier Padel, il nuovo circuito mondiale?
«Darà una spinta ulteriore alla crescita, anche attraverso la tv. Prima, per vedere una partita, dovevi cercare gli highlights su Youtube. Ora in Italia c’è Sky, in Francia Canal+. Gli atleti hanno giocato al Foro Italico e al Roland Garros. Un sogno incredibile».
3 Il padel all'Olimpiade sarà l’ultimo step?
«Non è più questione di "se", ma di quando. Ormai la gente si è innamorata di questo sport, non solo in Italia. E ha fatto bene».
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