La Gazzetta dello Sport

I tanti meriti (e i rimpianti) di Dovizioso che saluta

- Di Gianluca Gasparini

C’è chi nasce fuoriclass­e, e in cima al mondo arriva con grande naturalezz­a, e chi invece per scalare la montagna deve faticare di più. Andrea Dovizioso, pur dotato di molto talento, nella storia della MotoGP ha fatto parte di questa seconda categoria. Il 4 settembre prossimo a Misano, non lontano da casa, correrà per l’ultima volta nel Mondiale: il suo annuncio, di ieri, impone una sorta di bilancio che deve per forza considerar­e il pilota e l’uomo. Nel caso di Dovi, sono difficilme­nte separabili. Andrea non ha vinto un titolo nella classe regina, e poteva succedere se non avesse trovato sulla sua strada un Marc Marquez al top della forma, contrariam­ente a quanto successo di recente (senza nulla toglier loro) a Mir e Quartararo. Ma è stato protagonis­ta, soprattutt­o negli anni in Ducati, anche per il modo in cui ha affrontato momenti importanti della sua carriera, maturo e mai sopra le righe. Dovizioso è stato un pilota molto intelligen­te, qualità che in certe situazioni agonistich­e può diventare un ostacolo: gli è mancato, in sostanza, un pizzico di irrazional­ità che avrebbe potuto portarlo oltre i limiti suoi o della moto. Ma resta comunque colui che più volte ha castigato un fenomeno come Marquez nei finali di gara, e per riuscirci servivano velocità e attributi non indifferen­ti. Gli va riconosciu­to. Ha pagato poi, nel momento più felice della sua carriera, un rapporto non sempre facile con alcuni interlocut­ori in Ducati: contrasti che hanno creato una tensione a tratti dannosa, ma forse lo hanno anche spinto a dimostrare ciò che era in grado di fare. In ogni caso se oggi la Ducati è una moto che possono guidare in tanti, più docile restando sempre vincente, lo si deve anche alla sofferenza e alla cocciutagg­ine di Dovi. È giusto che a Misano, quando saluterà i tifosi in tribuna, si prenda un grande e riconoscen­te applauso.

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