A casa di Vlahovic
ORA BELGRADO E POI LA JUVE DUSAN VUOLE RITROVARE SORRISO E GOL
Siamo andati nel quartiere dove il serbo è cresciuto: «Qui per tutti era il piccolo Van Basten». Oggi l’attaccante guida l’assalto alla Svezia. Il c.t. Stojkovic: «Io lo vedo sereno»
icono che non ci sia cosa migliore, per ritrovare se stessi, che tornare a casa. Dusan Vlahovic alla Juventus non sta vivendo un momento felice. Il settembre nero racconta di zero gol per zero vittorie tra Serie A e Champions. Con il centravanti serbo da 90 milioni di euro (compresi contributo di solidarietà, bonus e oneri accessori) che sempre più di sovente sbuffa, allarga le braccia, va a sbattere contro avversari reali e immaginari. Quando un bomber che ha il gol nel sangue non segna da un po’, la testa comincia a ragionare troppo, creandosi ostacoli mentali. Una prova? Il Vlahovic della Juve finisce in fuorigioco il doppio delle volte di quello ammirato con la Fiorentina. Stop, passaggi, movimenti: tutto si complica e lo dicono i numeri. E fateci caso, Dusan in campo non ride più. Almeno sino a ieri. Perché a ridare il sorriso a DV9 ci hanno pensato i compagni di nazionale, nella sua Belgrado.
Casa dolce casa Vlahovic e la Serbia non si vedevano da un po’. Ok, c’era stata la capatina in estate dal preparatore personale, Andreja Milutinovic, insieme a tanti amici che giocano in Italia.
Ma insomma, la nazionale è un’altra cosa. Dusan aveva salutato tutti a novembre, dopo avere ottenuto il biglietto per Qatar 2022 vincendo in Portogallo contro Cristiano Ronaldo. Forse non sapeva ancora che ne avrebbe ereditato il “7” alla Juve da lì a pochi mesi, prima di convergere sul “9” a luglio. E di sicuro non immaginava di dover perdersi gli impegni in Nations League a giugno per infortunio. Ora il ritorno, come detto con tanto di sorrisi sui social, dove la federazione serba ha postato alcuni scatti in cui il centravanti si diverte a giocare alla morra cinese con Kostic e gli altri. «Lo vedo sereno, in forma», ha confermato il c.t. Dragan Stojkovic. E se gli si chiede perché alla Juve fatichi così tanto di recente, l’ex calciatore del Verona rispolvera il suo miglior italiano: «Io posso parlare per quello che vedo qui, è il solito Dusan che lavora tanto ed è al top fisicamente. Poi voi in Italia siete abituati che uno come lui faccia due-tre gol a partita». Sarà, ma che alla Continassa non ci sia l’aria di Stara Pazova, la Coverciano di Serbia, è evidente. Anche perché, quando si dice che Vlahovic qui è a casa, non è una metafora.
Gli inizi A cinque minuti d’auto, infatti, si arriva ad Altina, sobborgo residenziale nel nordovest di Belgrado. È qui che il piccolo Dusan ha dato i primi calci al pallone, sognando da subito di fare il calciatore. Papà Milos e mamma Sladjana, però, ci andavano piano. Prima la scuola, poi lo sport, con il calcio affiancato dalle arti marziali. Nessun club di primo piano, ma una piccola squadra di periferia che si allena ancora oggi in una tensostruttura anni Novanta nella sperduta Justina Popovica al numero 30. Le partite poco più in là, nel quartiere popolare di Zemun. Ecco, i primi gol di Vlahovic da queste parti se li ricordano ancora adesso.
Timidezza «Lo chiamavamo il piccolo Van Basten», raccontano nella minuscola sala trofei del club, tappezzata di foto di Dusan da grande, con le maglie di Fiorentina, Juve e Serbia. «Ma quando entrò qui dentro la prima volta era alto così» fa segno con la mano Nebojsa Pejovic, presidente del club da una vita. «Aveva sette anni, era molto timido, ci mise mezz’ora soltanto ad allacciarsi le scarpe». Poi però entrò in campo. «Un’iradiddio: prima partitella, quattro gol». E se avete la pazienza di cercarvi le immagini su YouTube, capirete. Vlahovic sembra quello di oggi. O meglio, quello di poco tempo fa. Solo che in miniatura.
La scalata A un certo punto, la piccola Altina cominciò a stare un po’ stretta a un talento del genere. In un torneo giocato con i nati nel 1999, il 2000 Dusan ne
segnò cinque all’Ofk, che decise subito di portarselo via. Poi toccò alla Stella Rossa. E qui va aperta una parentesi, perché DV9 con il club più famoso di Serbia durò pochissimo. «Non più di due settimane», spiega Milan Ristic, oggi allenatore in Cina, ma allora tecnico delle giovanili del Partizan. «Avevo già provato a portarlo da noi, ma lui aveva dieci anni e aveva seguito un amico all’Ofk o forse era andato lì semplicemente perché era più vicino a casa. Poi arrivò la Stella Rossa, che incredibilmente non sembrava credere molto in lui e allora io tornai subito alla carica, convincendolo che al Partizan eravamo sicuri delle sue qualità». Il buon occhio di Ristic è stato fondamentale nella crescita di Vlahovic. «Lo tenevo sul campo anche dopo l’allenamento a correggere i difetti – racconta -. E lui non mollava mai, era una macchina già da bambino. In Serbia abbiamo sempre avuto talenti in grande quantità, ma spesso finiscono per perdersi. Dusan no, un ragazzino così giovane con la sua mentalità era merce rara ieri come oggi».
Dominatore La testa, quella che stasera Vlahovic spera di sistemare con l’aiuto della nazionale nella sfida contro la Svezia in Nations League. Fisicamente, invece, DV9 è un portento. «Un robot – dice Ilija Rosic, l’allora medico delle giovanili del Partizan, che oggigiorno lo segue anche in nazionale -. A 15 anni era così dominante che era uno spreco farlo giocare con i pari età. Ricordo che in un derby con la Stella Rossa ne fece quattro: non riuscivano a tenerlo». Così al Partizan presero la decisione di aggregarlo alla prima squadra, su suggerimento anche del dottor Rosic. A 16 anni e qualche giorno, Vlahovic divenne il più giovane debuttante di sempre nel club.
Sogni e realtà Il resto ormai è storia: dal gol in finale di Coppa di Serbia alla genialata di Pantaleo Corvino, che lo portò a Firenze prima che il suo talento sbocciasse definitivamente, fino alla Juventus che lo ha pagato a peso d’oro. Ma Dusan un occhio al suo passato lo dedica sempre, specie quando torna a Belgrado. E chissà, pensare a quel bambino all’Altina che sognava di imitare Ibrahimovic, a due passi da casa, stasera può aiutare a liberarlo dalle ossessioni. 5’07”
Il ricordo Il primo tecnico al Partizan: «A volte i talenti si perdono, lui era una macchina»