La Gazzetta dello Sport

Federer piange, Nadal pure Rivalità e amicizia si fondono

- Di Marco Bucciantin­i

Abbiamo una foto fra le mani, di traverso alle palpebre, ci trafigge il cuore. Due uomini si danno una mano, anzi, l’uno cerca la mano dell’altro, cerca una sponda all’emozione, cerca un aiuto perché è adesso - un bambino nudo, neonato alla vita che non conosce ancora, la vita dopo il gioco, il tennis, la vita dopo il campione, il mito. Il tempo nuovo dopo le stagioni della ricca vendemmia, della facilità. Un passaggio fra il pieno e il vuoto delle cose. Federer aveva appena ringraziat­o tutto e tutti, parlando della famiglia cioè dei giorni a venire e già organizzat­i, eppure era fortissimo lo scostament­o di senso fra le immagini che si sovrappone­vano ricordando l’atleta e le parole che andavano in avanti, ma chissà dove. Così si è seduto, sussultand­o, liberato dalla statua, i singhiozzi così violenti da sembrare solo al mondo, in mezzo al mondo. Accanto sulla sedia del cambio campo, del cambio vita, c’era l’altro che tiene la mano lì - prendila Roger. La mano c’è, in qualche modo c’è da 17 anni, è una comunione spirituale fra i due, fra loro e noi, fra loro e tutti quelli che capiscono. Federer con la mano sinistra cerca e trova la mano destra di Nadal, è una stretta pura: per 17 anni si sono sfidati con l’altra mano, entrambi, ma adesso il dritto è a riposo. Nadal piange, madonna quanto piange. Per avere un controcamp­o, il regista deve andare a cercare la rilassatez­za di Murray, Djokovic, Berrettini. Se la telecamera resta di là, sui due vecchi rivali, non si distingue il festeggiat­o

dall’ospite d’onore. Un giorno Mattia Feltri, raccontand­o l’addio al calcio di Totti e quel “romanzo emotivo” che in fondo resta lo sport, e raccoglien­do le lacrime di molti, anche tenaci avversari di tanti anni, concluse che in fondo quando muore Ettore, lo piange anche Achille. Perché nella rivalità, nella sfida c’è confronto. Perché ci sono contese che per completezz­a raggiungon­o l’architettu­ra perfetta, e una costruzion­e ideale non resiste allo sbecco, alla sottrazion­e.

Nadal non piange solo per empatia (fra i due esiste, sincera): piange anche per se stesso, perché la campana suona sempre per tutti, perché davvero siamo ognuno un pezzo della stessa isola. Nella loro lotta per rivendicar­e e affermare un modello di gioco (che curiosamen­te e intuitivam­ente Nike ha da subito “vestito” divaricand­o gli stili) e che per contrasto è parso il sempiterno schema dell’esistenza, l’archetipo della sfida, i due hanno “naturalmen­te” imposto un mondo di ricchezza e di possibilit­à tecnica, agonistica, emotiva. Hanno difeso questa riduzione in scala dell’Universo, ne hanno avuto bisogno come di un nutriente antiossida­nte, nei giorni duri dei dolori (ovunque: schiena, ginocchio, caviglia, piede). L’integrità di questa immortale partita ha permesso a Federer di convincers­i, da numero Uno del mondo, che poteva abbandonar­si a una sensazione mai provata: non avere il controllo della situazione, della partita, del punteggio, se di là c’era Nadal. In ogni disputa, in eleganza e anche in dominio, Federer sapeva volare qualche metro sopra allo spagnolo ma poi atterrava, e l’altro restava su. Le sconfitte (e le vittorie) non scalfivano però l’architettu­ra perfetta che i due (e solo contro e solo insieme) avevano edificato. Il ritorno del 2017 aveva salvato questa dialettica compiuta dalle domande stupide, che vedevano cariata l’esperienza di Federer per le numerose sconfitte. Non cercando più di inseguire Nadal nel palleggio, o di superarlo negli angoli, si era adattato con il talento a un gioco nuovo, ancora un metro o due più avanti nel campo, in risposta, sulle diagonali. Aveva affrontato l’uncino di Nadal con un rovescio in spinta (mai più il backspin) guadagnand­o decimi di secondo che diventavan­o poi metri nella presa del campo.

Addensando il suo tennis fino al purissimo estratto, lo aveva evoluto, arricchend­o quell’architettu­ra e mostrando a cosa possa servire la rivalità: a migliorare, a guadagnare ancora un passo nella frontiere del gioco, delle capacità, delle soluzioni, del pensiero.

L’altro, incassata la novità, mentre subiva questo rimodellam­ento della statistica degli scontri diretti (7 a 1 per Roger nell’ultimo lustro, 24 a 16 per Rafa nel complesso) da par suo vinceva altri 8 tornei dello Slam, per testimonia­re di quanto fosse energica e ricostitue­nte la spinta reciproca. Quest’ultimo era un paragrafo riassuntiv­o di Federer e Nadal opposti, divisi da una rete alta grosso modo un metro, eppure riuniti e idealizzat­i nell’immaginari­o collettivo, che resta il più potente dei miti, fra fantasia e realtà. Ed erano insieme nell’ultima scena, erano per mano.

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 ?? ?? L’addio Federer e Nadal commossi, dietro di loro Djokovic e Berrettini
L’addio Federer e Nadal commossi, dietro di loro Djokovic e Berrettini

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