Beamon salta sempre nel futuro «Vivo per l’atletica e la musica»
IDENTIKIT
Possono pochi secondi trasformare l’intera esistenza di un uomo? Assolutamente sì. Bob Beamon, il leggendario Bob Beamon, ne è l’esempio più lampante. Per l’oggi 76enne statunitense quei pochi secondi sono trascorsi nel primo pomeriggio di venerdì 18 ottobre 1968. Quando, allo Stadio Universitario di Città del Messico, al primo tentativo della finale olimpica del lungo, planò a un inimmaginabile 8.90. Tutto, da allora, è per lui cambiato. È grazie a quel momento, per esempio, se a 54 anni di distanza, può incantare il publico della sala Depero del Festival di Trento ospite tre i più illustri delle cinque edizioni della kermesse della Gazzetta - affascinando con il racconto di quell’impresa. Resa possibile, va ricordato, anche grazie ai 2248 metri sul livello del mare dell’impianto e a una folata di vento a favore di due metri al secondo, esattamente entro i limiti consentiti.
A Città del Messico ‘68 non c’erano strumenti per misurare l’8.90 Ho 7000 dischi in vinile»
Il salto «Non mi resi subito conto di quel che avevo compiuto - spiega, preso dalla parte come fosse la prima volta che torna con la memoria a quel giorno - ci volle un po’ di tempo per capirne la portata. Quel risultato fu talmente fuori dai canoni che l’occhio elettronico non aveva un raggio sufficiente pe misurarlo e così si dovette attendere fino a che, da qualche parte, non saltò fuori un convenzionale nastro in acciaio». Beamon - un personaggio anche per come veste e per quanto ancora sia dinoccolato - sul palco entra nella parte fino in fondo. Prende in mano una bindella metrica e l’allunga al punto giusto, così che il pubblico possa capire con esattezza quanti siano 890 centimetri. Un’infinità. Tanto che l’incremento sul record del mondo fu di 55. Nessuno, né prima né dopo, ha aggiunto tanto al primato della specialità. «Su andate sui dizionari di lingua inglese - aggiunge orgoglioso - troverete il termine beamonesco. Significa sorprendente, straordinario». Quei Giochi sono passati alla storia anche per altro. Per i gesti inscenati a favore dei diritti umani contro il razzismo e la discriminazione
IL NUMERO
I salti a Città del Messico Bob Beamon nella finale olimpica a Messico ‘68 saltò 8.90 alla prima prova, poi fece 8.04 alla seconda e chiuse lì la sua gara, esausto sul podio dei 200 da Tommie Smith e John Carlos. «Vennero criticati, attaccati, espulsi - ricorda - assurdo. Io, in loro supporto, al momento della mia premiazione, alzai i pantaloni della tuta e mostrai dei calzini neri. Ne vado fieri ancora oggi: lo rifarei».
La musica C’è tanta cultura nera in Beamon. Si riflette soprattutto in un’enorme passione per la musica. «Raccolgo dischi in vinile sin dagli Anni Cinquanta - svela - ne posseggo oltre 7000». Più uno: da ieri, gradito regalo, ha anche un 33 giri con brani interpretati da Ornella Vanoni: “Caldo”, del 1965. «La musica è come l’atletica - sottolinea - servono ritmo, coordinazione, tecnica. A Myrtle Beach, in South Carolina, a casa, suoniamo sempre, dal mattino alla sera». Lo fa, con molta umiltà, anche al Festival. Esperto percussionista, prende tra le mani un bongo e, pur non essendo il suo strumento, improvvisa per qualche secondo cadenze dagli echi africaneggianti. Adesso sta imparando a suonare il sax. E quando in sala, con sua sorpresa, risuonano le note di “It’s a man world” interpretate da James Brown e Luciano Pavarotti, il suo brano preferito, quasi si commuove. «Insieme a “Human Nature” di Michael Jackson nella versione degli Swv - precisa - è il brano che più mi coinvolge. Certe contaminazioni sono il sale dalla vita». Al suo
fianco, nella seconda parte dell’evento, siede Andrew Howe. Ad accomunarli, oltre che l’amore per strumenti e spartiti, proprio il salto in lungo. Il primatista italiano gli confessa i suoi momenti bui dopo gli anni di gloria e la voglia di provare a fare attività di vertice per un’altra stagione. Beamon, dall’alto della sua esperienza, lo esorta a rialzare la testa e lo sprona a provarci.
A Trento Mister leggenda, sempre accompagnato dalla dolcissima moglie Rhonda («Siamo insieme dal liceo» dice lui) e dall’amico-collaboratore Don Franken, lascerà Trento domani con direzione Parigi, dove lo attende il comitato organizzatore dei Giochi 2024. «Sono stati cinque giorni entusiasmanti - sorride - anche dal punto di vista gastronomico, con la visita a una prestigiosissima cantina locale quale momento-clou». Torna presto, Bob. L’Italia ti vuol bene.