Lotta alla pirateria, aiuti ai vivai, impianti Così lo Stato può già rilanciare il calcio
Risposte esatte, chiare, immediate: il calcio italiano le chiede anche allo Stato prima che sia troppo tardi. È ciò che emerge dagli stati generali al Festival dello Sport, il vertice dei massimi rappresentanti delle nostre istituzioni discutono di crisi, parola che significa pure “passaggio”. Le urne delle elezioni politiche si sono chiuse ieri notte: ottenere tutto e subito dal prossimo governo non è possibile, ma è lecito aspettarsi interventi almeno a medio termine. Le agende dei partiti e delle coalizioni hanno riservato capitoli allo sport, al calcio. Non si tratta di tirare fuori «fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione», la sintesi del genio secondo il conte Mascetti, alias Ugo Tognazzi, in «Amici miei». Certo, il genio non guasta mai, ma sarebbe già importante varare concreti provvedimenti per ridare un primo slancio al nostro sport più popolare.
Partiamo dal mattone. Lo stadio di proprietà serve a consolidare le strutture societarie, a cominciare dai bilanci. Chi gioca in una casa tutta sua non conduce per forza campagne acquisti faraoniche, ma di sicuro contiene i costi e aumenta i ricavi. In A sono soltanto quattro i club proprietari. A Roma e Milano va avanti un tiqui-taka sui nuovi impianti che ormai è un tormentone. Di pari passo con le giunte locali sarebbe ora di accelerare e decidere, giusto per lanciare un segnale. Inoltre occorre un perentorio cambio di passo nella lotta alla pirateria. Siamo allo stra-ripetuto: il fenomeno sottrae risorse fondamentali alle compagnie che diffondono il prodotto. Chi paga i diritti tv va tutelato assieme al regolare abbonato: gli strumenti per smascherare e punire chi truffa ci sarebbero, andrebbero usati a oltranza. I pirati e le relative ciurme vanno combattuti anche nel merchandising: in Inghilterra, indossare la maglia autentica è uno dei modi per contribuire alle finanze della squadra del cuore, chi veste farlocco viene bollato quasi come un evasore fiscale. Qui da noi c’è invece un florido settore che campa con i falsi a tutto spiano. Si chiude un occhio, all’occorrenza due, e si tollera l’indotto illegale. Non ci sarebbe niente di scandaloso se le forze dell’ordine reagissero, forti della certezza della pena. Dettagli, certo, ma qualcosa va fatto.
Lo scenario è preoccupante, ma “cum grano salis” può subire aggiustamenti senza terapie d’urto. Il costo del lavoro è una voce pesante nei bilanci dei club: avanti così, la sostenibilità diventa un miraggio. Occorre unirsi e svoltare tutti insieme per ridurre l’impatto degli stipendi fino a soglie accettabili: in prima battuta, dipenderà soprattutto dagli stessi club e dalla Federazione. Sarà indispensabile
anche una stretta alle commissioni degli agenti, che nel solo 2021, dopo la pandemia, hanno incassato 173 milioni. Le risorse non sono illimitate, senza una regolata ce ne saranno di più per gli intermediari che per altre componenti vitali come i settori giovanili. Qui lo Stato potrebbe agire più a monte, magari con agevolazioni fiscali, non con elargizioni una tantum. I vivai non soltanto costituiscono un valido serbatoio, ma svolgono anche una funzione sociale: che cosa ci sarebbe di strano nell’incentivarli?
Ricorre, anzi si impone, una questione di governance: il calcio italiano non riesce ancora a fare sistema. Ciò complica la gestione dei rapporti con i Palazzi a tutti i livelli. Senza per forza allestire un fronte monolitico, basterebbe non presentarsi sempre in ordine sparso.
Sarebbe utile un soggetto ad hoc per commercializzare i diritti tv all’estero: con l’ingresso dei fondi di investimento nella Lega sarebbe stato più facile, poi però non se n’è fatto nulla. Si può rimediare, però a furia di veti incrociati e con l’ossessiva tutela del “particulare” si prolunga una melina che rovina il gioco e il giocattolo.
Il calcio è un nostro patrimonio culturale ed economico, perciò va protetto. Guardiamo ai più ricchi, agli inventori: gli inglesi con la loro nazionale che non vince un titolo dal 1966, scivolano in B nella Nations League. Meglio non imitarli, eppure vivono lo stesso felici e contenti. Come mai? In 30 anni sono riusciti a fondare e rinforzare una lega che distribuisce utili a tutti. Anche loro devono correggere storture come gli ingaggi troppo alti, però hanno la pancia piena. Per rilanciare il nostro calcio, prima di tutto si deve puntare alla sostenibilità, per poi tentare il salto in alto, missione dura ma non impossibile. Lo Stato può senz’altro giocare la sua partita su più campi. Presto però, senza aspettare le prossime elezioni.