Gigio e Raspa la meg
Millecinquecento è un bel numero, suona bene. E’ un numero (di gol) che parla di una lunga storia, fatta di attaccanti che hanno fatto la storia. Cifre tonde come le loro carriere: Mario Corso (il numero 500), Paolo Rossi (800), Bobo Vieri (1000), Luca Toni (1200). Ieri a segnare il gol numero 1500 della Nazionale è stato Federico Dimarco, uno che fa un altro mestiere. Comunque ogni tanto segna - e neanche poco, considerando che dovrebbe occuparsi anzitutto di altro - perché ha un piede affilato e preciso come un coltello, ma di solito lo usa per rasoiare calci piazzati, non per tap in come quello di ieri sera. Che ha ferito a sangue l’Ungheria. Un esterno, non una punta, ma è simbolico pure questo: davanti ci manca qualcosa, ma compensiamo con tanto altro. E tanto altro ha fatto di Dimarco - prima firma azzurra alla sesta presenza - uno dei migliori della compagnia, anche ieri sera: generosità, corsa, sacrificio.
Decisivo Tutto quello che anche Giacomo Raspadori dà alla Nazionale: lui, ancora lui, ha iniziato a creare l’impasto di questa vittoria e Gigio Donnarumma l’ha conservato: aprendo le sue manone, opponendo piedi, corpo e cuore al disperato tentativo dell’Ungheria di non perdere il suo sogno. Con questa maglia, e forse non solo questa, Gigio non era così decisivo dall’Europeo: almeno quattro miracoli, su Nego, su Adam Szalai, su Syles, addirittura sull’involontario fuoco amico di Bonucci. Un muro invalicabile e nei momenti più delicati della partita, perché i grandi portieri fanno questo: chiudono la porta quando lo spiffero farebbe rischiare la malattia. «Il mio modo di essere non cambia, a volte per noi portieri è dura ma bisogna restare concentrati e lavorare al massimo, capire gli errori e cercare di correggersi. Devo lavorare anche mentalmente. C’è un nuovo entusiasmo ma il Mondiale è una ferita aperta».
Fenomeno Ieri si rischiava di sprecare la fatica fatta per segnare l’1-0, la firma era la stessa di venerdì a San Siro: Jack Raspadori. Lunedì scorso, giorno in cui l’Italia ha iniziato a inerpicarsi su per la salita di questa doppia sfida di Nations League, ci sentivamo nonostante tutto aggrappati a Ciro Immobile: ancora non lo sapevamo, ma in realtà eravamo già appoggiati sulle spalle di Giacomo Raspadori. Il ragazzo dei tempi giusti. Era un fenomeno nella Primavera del Sassuolo ma è cresciuto lì, nel “suo” campionato, senza salti nel vuoto: la Serie A poteva aspettare i suoi 19 anni, anche se c’è chi la conosce più giovane, e nessuno ha avuto fretta, né lui né il club che poi quando è stato il momento gli ha offerto la casa e le responsabilità dove preparare il decollo. Era la carta in più di Mancini, quella che poteva sparigliare il mazzo, all’Europeo, ma Jack lo ha vissuto come l’apprendista che fa lavoro di bottega, impara il mestiere da chi lo fa da molto più tempo di lui, immagazzina conoscenze. Poi è arrivato settembre di un anno fa e Raspadori ha iniziato a scendere dalla tribuna dove si era accomodato per le ultime tre tappe del tour trionfale e a salire nelle gerarchie di Mancini. Sempre cogliendo l’attimo senza rincorrerlo: il gol contro la Lituania, il primo azzurro, non gli era bastato a giocare poco più di mezzora nelle tre maledette partite del tabù Mondiale, contro Svizzera, Irlanda del Nord e Macedonia, ma la sua epoca stava iniziando. Oggi Mancini, che continua a combattere l’anemia di gol della sua Nazionale, si coccola il giocatore che nelle ultime 15 partite ne ha segnati cinque, con quello di ieri sera: anche questo con i tempi giusti, perché quando ha visto quell’impatto fra Gnonto e Gulacsi Jack, era già lì con il pensiero, e poi ci è arrivato anche con i piedi, per il doppio tocco decisivo. Nessun azzurro ha fatto meglio nel periodo, ed è abbastanza per considerarlo la miglior immagine possibile di una nuova Italia che sta nascendo: Raspadori la sintetizza benissimo.