La Gazzetta dello Sport

Sì, al calcio servono aiuti Ma le regole vanno cambiate

- CALCIO DI RIGORE di Gianfranco Teotino

Eppur si muove. Che non si potesse continuare a far finta di niente, a lasciare avanzare la crisi, non solo economica, del calcio italiano, era ormai chiaro a tutti gli appassiona­ti, ma ancora rifiutato da buona parte degli addetti ai lavori. Ora sembra invece di percepire una consapevol­ezza diversa. Non più solo parole, ma anche qualche proposta concreta. Peccato che gli otto mesi già trascorsi dallo choc della sconfitta con la Macedonia del Nord siano trascorsi invano. Non c’è più tempo da perdere. Adesso che la realtà del secondo Mondiale consecutiv­o

senza gli azzurri ci verrà sbattuta in faccia ogni giorno fino a Natale, sarebbe opportuno riempire questo vuoto prendendo qualche decisione, avviando qualche riforma.

Sì, il calcio italiano, arrivato già assai debilitato per proprie responsabi­lità alla pandemia e perciò più colpito di altri dal Covid, ha bisogno d’aiuto, purché cominci anche ad aiutarsi da solo. È un po’ questo il senso del confronto d’idee sviluppato­si lunedì a Milano nel corso dell’iniziativa promossa da Rcs Academy. Particolar­mente interessan­te il nuovo approccio alla materia del neo ministro Abodi: ok, l’emergenza adesso è

la scadenza del 16 dicembre quando i club dovrebbero versare tutti insieme circa mezzo miliardo di oneri fiscali posticipat­i, darò parere favorevole alla richiesta di ottenerne una rateizzazi­one in cinque anni, a patto che la

disponibil­ità finanziari­a conseguent­e non venga come al solito bruciata. L’ipotesi è imporre alle società che sfrutteran­no l’opportunit­à di chiudere le prossime campagne acquisti con un saldo positivo o almeno pari a zero: vietato

comprare giocatori se prima non si è ceduto qualcuno. Una misura pure a tutela di quelle squadre che invece le tasse le hanno pagate regolarmen­te rispettand­o le scadenze.

Un’altra possibilit­à sarebbe vincolare eventuali sostegni di Stato, diretti o indiretti, agli investimen­ti in infrastrut­ture e settori giovanili. Per far sì che la sostenibil­ità del sistema calcio non resti soltanto uno slogan, occorre che i sostegni della mano pubblica, laddove realmente necessari, siano finalmente condiziona­ti a una assunzione di responsabi­lità di dirigenti e protagonis­ti che passi attraverso un cambiament­o di regole e di sistemi di controllo oggi inefficaci. Lo squilibrio fra costi e ricavi è diventato così ampio che non bastano a nasconderl­o neppure operazioni di maquillage contabile discutibil­i come certe plusvalenz­e o di rivalutazi­oni del marchio utili a evitare le ricapitali­zzazioni dei club in rosso profondo. Il tetto, possibilme­nte internazio­nale, agli stipendi è un’opzione da approfondi­re, per quanto, se calcolato in percentual­e sulle entrate come nelle nuove norme Uefa, non farebbe altro che favorire ulteriorme­nte i grandi club con i fatturati più elevati. Per non essere seppellito dalla montagna di debito alta quasi 5 miliardi e mezzo di euro, il calcio italiano dovrebbe poi procedere davvero alla riforma dei campionati. Nessuno vuole fare il primo passo, tutti vogliono mantenere i privilegi acquisiti. Per la verità, una proposta di format innovativa è arrivata dalla Lega Pro. Non priva di elementi d’interesse, basandosi sulla doppia necessità di riconquist­are l’attenzione dei giovani e di aumentare i ricavi: è costruita intorno alla valorizzaz­ione dei play off e alla territoria­lizzazione della prima fase. Forse è un po’ farraginos­a nella sua complessit­à, ma soprattutt­o elude il tema del numero eccessivo delle società profession­istiche: fra Serie A, B e C oggi sono 100. Troppe. Nessuno in Europa ne ha così tante. Non possiamo permetterc­ele.

 ?? ??
 ?? ?? Stelle Martinez (Inter) ed Hernandez (Milan), uno scudetto a testa
Stelle Martinez (Inter) ed Hernandez (Milan), uno scudetto a testa

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy