Qui dove si vive la grande attesa dell’“accadimento straordinario”
ANapoli otto punti di vantaggio diventano l’attesa dell’accadimento straordinario. Con conseguente calvario: due mesi di sosta mondiale e poi l’anno che verrà, tutto da giocare. Ma il pensiero si crea. La voglia viene. Fino alla costruzione di un tempo – calcistico – esotico. Anche perché otto punti sono una distanza messneriana tra la vetta e il resto, uno stacco che non si era mai visto nemmeno negli anni di Maradona o quelli di nuova speranza e meno raccolta di Sarri. Intanto, il napoletano cammina cu ‘e spalle sotto ‘e casce, come cantava Pino Daniele, e si macera di allegria desolata, custodendo la convinzione intima di potercela fare, moltiplica le aspettative, sottrae le parole, vivendo in equilibrio: tra le terribili delusioni degli anni passati e la superiorità evidente che diventa attico con vista in Champions League.
Il mercato L’estate dello scontento
Se un testa a testa porta alla prudenza, otto punti portano a pensarsi come la Juventus dei record di Antonio Conte (102 punti). Anche perché l’accadimento straordinario arriva dopo l’estate dello scontento napoletano: via Insigne, via Koulibaly, via Ospina, via Mertens, via Fabian Ruiz, pezzi di carne che si staccavano dalla squadra per diventare murales, video, lacrime, quasi disperazione, post, tweet, rabbia verso Aurelio De Laurentiis, sfiducia verso Giuntoli, diffidenza verso Spalletti. Poi, d’improvviso, il mese d’agosto e Khvicha Kvaratskhelia: primi barbarici dribbling, guizzi serpeschi, e i ricordi che si sgretolano, le certezze che si ricompongono, il pallone che rotola tra le gambe degli avversari, tunnel su tunnel, persino ad Alexander Arnold, e i dubbi si sradicano, mentre i terzini alzano il pallone, e tutti segnano. Con la ragguardevole prerogativa d’essere normali. Un microsistema sobrio, semplice, che ha estetica, strategie scacchistiche, macina gol, vittorie e stupore. Creando un orgasmo, individuale e collettivo. Qualche volta ad occhi chiusi, qualche altra aspettando il flusso d’ispirazione, altre vincendo con acuti o buttando il pallone in tribuna con la praticità orientale di Kim Min-jae. Negli anni di Maradona l’accadimento straordinario era Maradona, il resto sarebbe venuto di conseguenza, si sentiva nell’aria, come si sentiva la magia nel maggiore dei romanzi che racconta(va) la città: “Malacqua” di Nicola Pugliese, quattro giorni di cronaca straordinaria sotto la pioggia. Gli anni dei Napoli dopo Maradona sono stati una crescente rinuncia allo straordinario, con un adeguamento tutto al ribasso. Poi è arrivato Aurelio De Laurentiis e una febbriciattola sostenuta da una robustissima forza d’animo e progettazione con punte di visionarietà e corridoi oscuri. È Mazzarri che canonizza il Napoli per Benitez che passa la lavagna a Sarri che bordeggia il trionfo, fa sillabare la parola magica, scudetto, che si trasforma in conati di vomito ronaldeschi – del brasiliano s’intende – convulsioni fiorentine con capogiri e rilanci di Ancelotti, più verticalizzazioni e meno orizzonte che si fa veleno per Gattuso, e arriva al delta di Spalletti. È questo il dorso del Chuckyno, inteso come Lozano, via Shrek, che da “sciagurato” – come Gianni Brera chiamava manzonianamente Egidio Calloni per le sue improvvisate acrobazie alternate a grandi errori – diventa protagonista l’altra sera contro l’Empoli. E prima di lui una lunga schiera di rinati, rigenerati, confermati e nuovi arrivati: da Lobotka ad Anguissa, da Mario Rui a Di Lorenzo, da Rrahmani a Simeone, da Osimhen a Raspadori e Olivera arrivando a Meret che ha passato l’estate più in bilico del funambolo Petit tra le torri gemelle che furono.
L’attesa Fra paura e magia
Otto punti di vantaggio sono otto banderillas infilate nel collo del campionato, che eccitano Napoli, mentre tutti intorno fanno finta che manchi d’autorità. Così, mentre società e squadra giocano ad ignorarsi come accadimento straordinario, una parte della città si lamenta di non essere vissuta come tale, sperando in una riscrittura del Gennariello di Pasolini, ma contemporaneamente il New York Times e la BBC spengono l’emergenza recriminatoria con una alluvione di complimenti e ribattezzi, aggettivi che danno una spallata alla prudenza, e giudizi che diventano invocazioni, come il “selvaggio” tatuato sugli slalom di Kvara: è lui che spedisce le “lettere luterane” ai portieri. Tanto che la sua lombalgia diventa il grande racconto napoletano. Ma quello che non possono sapere i media angloamericani è che quando a Napoli il fluttuante prende la consistenza del reale: s’insinua la paura, e l’illuminismo si intreccia con la magia, in attesa della “fiesta” che da trent’anni aspetta di esplodere.
Dopo Maradona anni di rinunce sempre al ribasso
I due mesi di sosta per il Mondiale diventano calvario per chi spera in silenzio