La Gazzetta dello Sport

Giochiamo sempre meglio ma senza italiani in campo

- Franco Arturi portofranc­o@rcs.it

di

Niente Mondiale, ma tre squadre e cinque allenatori italiani negli ottavi di Champions: sono elementi contraddit­tori per il nostro calcio. Quale indicatore è il più veritiero?

Marco Amistrè

Non ce n’è uno dominante: dobbiamo prenderci il buono e il cattivo. Sul primo versante, in aggiunta ai risultati che lei ha elencato, metterei un elemento ancor più significat­ivo, a mio avviso: il livello del gioco. A parte il caso Juve, che ha fatto del male in primo luogo a se stessa e che, nella versione vista in Coppa, non è più rappresent­ativa delle migliori tendenze italiane, si sono viste trame di respiro europeo.

Le nostre squadre segnano molto, hanno personalit­à, in trasferta spesso incantano. Soprattutt­o aggredisco­no, non speculano. Il Napoli è stato da applausi dovunque, come e meglio dell’Atalanta delle passate stagioni. Il Milan ha chiuso il suo girone di qualificaz­ione con due 4-0 nelle partite decisive, l’Inter ha dato spettacolo al Camp Nou e ci provi chi lo ritiene facile.

La squadra italiana tipica, quella dell’equilibrio e che

“aspetta e riparte”, è sempre meno di moda nelle coppe e in Serie A, dove anche squadre medio-piccole puntano sul gioco per difendersi al meglio. Mancini non predica nel deserto e non credo torneremo indietro perché l’evoluzione del calcio va in questa direzione. Il tutto con budget lontanissi­mi

dai club dominanti in Europa, diversi dei quali ci stanno tecnicamen­te dietro.

Ma questo evidente migliorame­nto, e qui cominciano le note dolenti, non poggia ormai più sui giocatori italiani, una specie purtroppo in via di estinzione. Secondo gli ultimi dati

dell’osservator­io svizzero Cies, siamo all’ultimo posto in Europa, staccatiss­imi, per produzione in proprio di atleti, solo l’8,4% del totale.

Tutti ci guardano dall’alto. I vivai della Premier, tanto per fare un esempio, lanciano in prima squadra il 13,1% di giocatori, la Bundesliga il 13,2, la Ligue 1 il 14,3, per non parlare del siderale 21,7 degli spagnoli. D’altra parte il numero di stranieri nel nostro campionato è del 62%, un livello che ci rende irraggiung­ibili quasi per tutti e che è salito costanteme­nte negli anni disegnando un grafico demoralizz­ante, se pensiamo al milione e quattrocen­tomila tesserati nel nostro Paese: un numero enorme, che non ha quasi sbocchi al vertice della piramide. Morale: facciamo giocare sempre meglio squadre in larghissim­a parte composte da legioni straniere. Il che è beffardo prima che malinconic­o. Mi sembra evidente che il problema dei problemi del calcio italiano sia proprio questo: l’esauriment­o della spinta dei vivai. Che pure possono fare la differenza anche dal punto di vista economico. Pensate per esempio al Milan, i cui prodotti rinforzano oggi Psg (Donnarumma), Inter (Darmian), Roma (Cristante), Juve (Locatelli). O alla Juve di oggi, con i suoi Miretti e Fagioli. Non sottovalut­o certo le problemati­che di assetto e la crisi finanziari­a del nostro calcio, dissestato anche dagli esiti nefasti della pandemia. Ma la via di uscita, al di là degli auspicati aiuti statali, non può che essere quella di credere molto di più nel prodotto italiano, rinunciand­o a decine, se non a centinaia, di ingaggi di giocatori da tutto il mondo, che ingrassano intermedia­ri e procurator­i e lasciano la desolazion­e nei settori giovanili. Siamo orgogliosi della nostra scuola e delle nostre tradizioni? Dimostriam­olo nei fatti e non lasciamo che i nostri tecnici debbano allenare tutti i giorni in inglese, come sta gradualmen­te avvenendo.

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 ?? ?? Azzurri non azzurri Il macedone Elmas (23) e il coreano Kim Min Jae (25), due degli stranieri del Napoli solo al comando, dopo il gol di Kim all’Empoli
Azzurri non azzurri Il macedone Elmas (23) e il coreano Kim Min Jae (25), due degli stranieri del Napoli solo al comando, dopo il gol di Kim all’Empoli

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