La Gazzetta dello Sport

I test con Todt e Schumi, i successi da motorista La scalata di Mattia, “figlio” di Marchionne

- Di Giusto Ferronato

Èmancato solo l’ultimo passo, certo quello più difficile e non scontato, riportare la Ferrari alla vittoria del titolo mondiale piloti che manca dal 2007. Nel ruolo di timoniere. Ma per il resto, la scalata di Mattia Binotto al vertice della squadra corse più importante del Cavallino, quella di F.1, è stata notevole. È sufficient­e guardarsi indietro rapidament­e: entrato a Maranello come ingegnere motorista nel 1995, oggi parliamo di Binotto come team principal della Scuderia, un’ascesa che parla da sola. Binotto ha attraversa­to (e vi ha attivament­e contribuit­o) l’epoca dei successi dell’era Ferrari targata Jean Todt e Michael Schumacher, di cui è coetaneo, il tedesco del 3 gennaio, Mattia del 3 novembre, entrambi del 1969, forse un segno del destino. Essere parte di quel gruppo d’oro che comprendev­a anche Ross Brawn come direttore tecnico e Rory Byrne come progettist­a, ha per forza di cose influito nella carriera dell’ingegnere nato da genitori di Reggio Emilia in Svizzera, dove si è laureato al Politecnic­o di Losanna nel 1994. Binotto ha ricoperto il ruolo di motorista della squadra test fino al 2003. Parliamo di un’epoca in cui la squadra prove del Cavallino aveva un ruolo chiave nei successi in pista: non c’erano le limitazion­i attuali per le misure di contenimen­to dei costi, le Ferrari macinavano km e km tra Fiorano e il Mugello tra un GP e l’altro, una grande palestra per Binotto e tutti i tecnici che ne facevano parte.

Passo avanti Nel 2004 è promosso a responsabi­le motori in pista e nella stessa stagione Schumi si aggiudiche­rà il suo 7° titolo, il 5° in rosso. Nel 2007 un altro avanzament­o a responsabi­le delle operazioni Power Unit, l’anno in cui Kimi Raikkonen si aggiudiche­rà l’ultimo titolo iridato per la Ferrari. Poi arriva il ruolo di vice direttore del reparto motori ed elettronic­a nell’ottobre 2013. Mattia è successiva­mente Chief Operating Officer per la Power Unit. Importante svolta della carriera interna è il 2016, quando a luglio, sotto la gestione di Maurizio Arrivabene, viene nominato Chief Technical Officer. Assume in sostanza il ruolo di direttore tecnico lasciato vacante da James Allison, tornato in Inghilterr­a per gestire la famiglia dopo il gravis- simo lutto della perdita della mo- glie. Nel ruolo di coordinato­re di telaisti, aerodinami­ci e motoristi, Binotto trova il favore dell’allora presidente Sergio Marchionne. Ed è un passaggio fondamenta­le perché nel 2018, in seguito alla prematura scomparsa del dirigente, John Elkann ne continuerà le volontà, silurando Arrivabene e affidando a Binotto la gestione della squadra. La scalata al vertice, con vittoria di una sfida interna, si è consumata così.

Oggi Il resto è storia recente. Il 2019 è gioia e dolori, la gloria per i successi di Spa e Monza con il neo arrivato Charles Leclerc, le ombre per il caso power unit, da cui è scaturito un accordo segreto con la Fia e a cui sono seguiti due anni di grande difficoltà tecnica. Nel 2022 un grande inizio, poi il calo. Vedremo cosa gli porterà il futuro.

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EPA Perplessit­à Mattia Binotto, 53 anni

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