Dalla ritmica a D’Onofrio giustizia sportiva malata
So di non essere originale, ma sono sconcertato, per non dire sconvolto, sia per la vicenda D’Onofrio che per lo scandalo della ginnastica: ma lo sport non ha filtri di protezione contro malintenzionati di vario tipo?
Antonio Lustrani
La risposta, amarissima, è no. Almeno finché le norme e il funzionamento della giustizia sportiva saranno quelli che abbiamo sotto gli occhi. Sarebbe stato sufficiente chiedere l’esibizione di un certificato penale perché fosse evitata l’umiliazione a cui sono sottoposte le istituzioni calcistiche. Invece per diventare procuratore degli arbitri basta un’autocertificazione nella quale si dichiara di essere candidi come agnellini. E non importa se sei in libertà vigilata o accusato di narcotraffico. Una falla clamorosa, che è sempre stata giustificata con il rispetto della privacy. Oggi paghiamo questo finto garantismo con una caduta di credibilità che ha pochi precedenti di gravità, forse nessuno. E c’è ancora qualcuno che vorrebbe conservare lo status quo, dopo questa mortificazione, cioè un’autonomia (della giustizia arbitrale) dentro un’altra
autonomia (della federcalcio). Il male minore è richiamare tutto all’interno dei meccanismi disciplinari della Figc, ma anche questa è una soluzione relativa perché gli organi della giustizia sportiva sono troppo contigui all’«esecutivo», che in questo caso sono federazioni e Coni stesso. I giudici sono infatti
nominati dalle federazioni. La terzietà dei giudizi di fatto non esiste. Controllore e controllato quasi coincidono. E questo vale anche in campo internazionale, prendi il mitico Tas, il tribunale svizzero di arbitrato sportivo: i giudici sono espressioni delle federazioni internazionali. La debolezza istituzionale è evidentissima anche nel caso della ginnastica, che lei ricorda opportunamente. Ci sono stati negli ultimi anni continui allarmi, anche arrivati a giudizio, di allenatrici abusanti. Condanne lievissime (da uno a tre mesi le ultime), copertura mediatica delle decisioni, nessuna apertura di indagini serie e pubbliche. E anche nel caso di gravissimi abusi, arrivati a condanne della giustizia ordinaria (in altre discipline), non si richiede nemmeno a ex pedofili di esibire alcun certificato penale prima di essere assunto in un settore giovanile.
La risposta, molto deludente, dell’ambiente della ginnastica è un tuffo nel complottismo e un ripiegamento dentro fortilizi corporativi. La super-tecnica della ritmica, Emanuela Maccarani, in un file audio reso noto da «Repubblica», dà dei «giornalai» ai colleghi che stanno facendo emergere lo scandalo degli abusi, si autodefinisce «bella persona», considera «manipolate» le atlete che hanno trovato il coraggio di denunciare un sistema malato. Il suo giudizio finale sulla vicenda, come vedete, è già servito, anche se nel frattempo le denuncianti sono diventate decine e decine. A che serviranno mai le inchieste, via?
Sono maturi i tempi affinché ci si renda conto che chi indaga e giudica sulle distorsioni dello sport deve avere una distanza reale dall’ambiente: o si marcerà decisi in questa direzione o tutte le dichiarazioni più o meno autocritiche dei dirigenti, pur se troppo timide, rimarranno aria fritta.
P.s.: a margine della vicenda della ginnastica, una dolorosa constatazione: quasi tutte le tecniche accusate di abusi psicologici e verbali (e non solo) sono donne. Una volta diventate allenatrici, tendono a replicare gli stessi sistemi ai quali sono state sottoposte da atlete. Eravamo abituati al triste primato maschile, non sentivamo la necessità di questo tipo di «parità» distorto.