Pochettino «Messi è la semplicità Neymar sana follia Mbappé deve ancora scoprire se stesso È l’ora del Sudamerica»
L’argentino ha allenato i più grandi «Leo e Ney vivono il calcio in modo opposto, ma sono dei leader. Kylian non ancora»
Harry Kane
Maradona era impulsivo, reattivo, faceva ciò che sentiva dentro in ogni momento auricio Pochettino è un osservatore privilegiato. Negli ultimi anni tra Londra e Parigi ha allenato Harry Kane, Neymar, Kylian Mbappé e Leo Messi. Quattro grandissimi attaccanti, diversi tra loro, attesi come protagonisti assoluti al Mondiale in Qatar.
3Da chi partiamo?
«Dal Sudamerica, che non vince il Mondiale dal 2002. E quindi da Messi e Neymar e dal loro modo di vedere il gioco, completamente diverso, soprattutto in fase di creazione. Leo sente la responsabilità del dover dare continuità al gioco e prova una gran vergogna nel perdere la palla. Quando si abbassa a centrocampo non rischia, non pensa a tunnel o colpi di tacco, usa la superficie del piede per giocare in sicurezza. Neymar al contrario gioca allo stesso modo in ogni parte del campo, senza alcuna responsabilità, non ne sente il peso. È un irresponsabile per natura, un bandito nel senso buono del termine. È capace di provare un tunnel nella propria area, non prova vergogna se perde palla perché la sua missione è quella di far divertire la gente, di regalare spettacolo, e nello show la componente di rischio è rilevante, oltre che fondamentale. Prendiamo i torelli in allenamento: Messi non va quasi mai in mezzo, perché non sbaglia mai. Neymar è sempre in mezzo. Leo incontra il piacere nella semplicità, Ney nella difficoltà».
Mbappé? «Rispetto agli altri due è più giovane e quindi immaturo, anche se ha già vinto un Mondiale: casi dello sport collettivo, difficili da comprendere. Kylian è un animale, ha un grande carisma capace di attrarre le persone ma ha ancora bisogno di trovare sé stesso. Leo e Ney sono giocatori totali, sono più responsabili anche se in maniera diversa tra loro, mentre Kylian si sta ancora cercando. Fa fatica a distinguere i momenti della partita, quando deve rischiare e quando non deve farlo, come sfruttare al meglio le sue grandi qualità. Non si diverte nello scambio associativo col compagno a meno che non sia nell’ultimo terzo del campo, perché ha bisogno di spazio per sfruttare al meglio le proprie virtù. Kylian non trova piacere nel tenere la palla, lo fa solo quando può correre e concludere. È un cavallo da sprint che ha bisogno di vedere una lepre davanti a lui per poterla cacciare. Messi e Neymar si conoscono perfettamente e sanno ciò di cui sono capaci mentre Kylian deve ancora completare questo processo, ma il tempo è dalla sua parte: è in fase ascendente quando Leo, Ney, e ci metto pure Benzema, sono stabili, hanno trovato la maturità che Mbappé non ha ancora raggiunto, nonostante abbia vinto un Mondiale a 18 anni. Ora ne ha 23 e dobbiamo ancora vedere la sua versione migliore. È in evoluzione, e vedremo come condizionerà questo processo quanto è successo negli ultimi mesi, col mancato passaggio al Real Madrid».
3 Con la Francia dove lo vede? «Mbappé e Benzema devono condividere lo spazio, e poi c’è Griezmann, che deve sacrificarsi per gli altri due. In nazionale Kylian non ha la stessa influenza che hanno Messi e Neymar con Argentina e Brasile. È ovviamente determinante, ma nel gruppo di Deschamps ci sono altre personalità. Può essere un leader perché tutti lo vedono come il miglior attaccante del mondo, però oggi il Pallone d’Oro è a casa di Benzema, che è francese come lui. L’evoluzione per Mbappé passa dall’uscita dalla zona di comfort. Restare a Parigi può essere positivo per il Psg e i suoi tifosi, ma in futuro Kylian dovrà riflettere bene sull’opportunità di andare a competere al massimo livello, per lottare anche lui per il Pallone d’Oro».
3E Kane?
«Ha un vantaggio: è cresciuto nell’ombra, seguendo un processo lento. Se Mbappé è arrivato al top della fama quando era ancora immaturo, Kane l’ha fatto quando era già formato. Io Harry l’ho letteralmente visto crescere calcisticamente. Quando arrivai al Tottenham l’avevano mandato in prestito al
Leyton Orient, al Millwall, al Norwich. E non lo vedevano, preferivano Soldado e Adebayor, volevano comprare Welbeck. Oggi a 29 anni deve fare un passo in avanti per diventare il leader di una nazionale che ha tanti giovani che possono essere invidiati da qualsiasi squadra, Foden, Mount, Bellingham, Saka, Rice, ma alla quale manca sempre qualcosa per essere davvero completa. Harry ha una disciplina enorme, è un perfezionista, un professionista esemplare, però non è ancora il leader della nazionale. Per diventarlo hai bisogno di un surplus di energia, non devi pensare solo a te stesso ma anche agli altri, e questo è il grande problema dell’Inghilterra: ha una grande generazione di talenti, ma manca uno che faccia qualcosa in più per il gruppo».
Ha parlato di leadership in nazionale per Mbappé e Kane. Come vede Messi e Neymar?
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«Neymar è il leader del Brasile. C’è Thiago Silva, ma la sua è una figura alla Paolo Maldini, una
«Finalmente in Argentina è finita la comparazione odiosa tra Leo e Maradona»
guida calma che si basa sull’esempio più che sull’emozione. Neymar trasmette tanto sul piano emotivo, e il Brasile ha bisogno di questa energia, del suo temperamento e del suo carattere. Neymar comunica e trasmette tanto in campo, ha una passione incredibile che sentono tanto i compagni come gli avversari. È unico in questo senso».
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«In Argentina si è generata un’energia notevole, la gente sente che Leo si merita il titolo Mondiale ancor più del Paese. Si è finalmente attenuata l’odiosa comparazione tra Leo e Maradona, una cosa che non ha mai avuto senso perché si tratta di due giocatori enormi. In Argentina è subentrata una paura: il tempo passa e c’è il rischio che Messi non vinca il Mondiale, così ora tutti si sono messi a sua disposizione per arrivare a un trionfo che manca dal 1986».
Maradona si faceva voler bene. Leo forse è meno capace?
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Messi?
«Sono due forme diverse di affrontare la vita: Leo soffre in maniera diversa da Diego. Interiorizza le cose, le tiene per sé. Diego era impulsivo, reattivo. Leo è cauto nell’aprirsi emozionalmente in pubblico e questa cosa a volta gioca brutti scherzi perché la gente vuol vedere i propri eroi piangere, disperarsi, discutere, lottare. E Diego era così. Faceva ciò che sentiva dentro in ogni momento. Leo è privato, introverso, pensa e riflette di più ma la cosa non vuol dire che non senta le cose, assolutamente, ve lo assicuro. Ha una forma di comunicare differente e va rispettato. Anche perché è il migliore del mondo».
3Chiudiamo con l’Italia, vede un suo futuro in Serie A?
«Sì, mi piacerebbe molto. Ho tutti i nonni italiani, i famosi otto cognomi nel mio caso sono tutti originari del vostro Paese e quasi tutti piemontesi. Sono cresciuto immerso nella cultura italiana e ho sempre avuto come obiettivo l’arrivare a vivere in Italia prima o poi, e il modo migliore per farlo è allenando. Ho lavorato in Spagna, in Francia e in Inghilterra, spero di avere un’opportunità anche in Italia».
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«Un campionato attrattivo e competitivo. La guardo tanto, con grande interesse. La Serie A per me è un marchio registrato, un classico. Può aver perso un po’ di peso ma resta sempre un torneo rispettato e ammirato ovunque».
come giudica la Serie A? 3 Però l’Italia non è al Mondiale.
«Ho vissuto la cosa in prima persona: prima di giocare con la Macedonia Verratti e Donnarumma erano terrorizzati. Evidentemente avvertivano la grande tensione che si respirava attorno alla Nazionale, nel Paese. Detto questo per me il sistema di qualificazione attuale è assurdo e va rivisto: chi ha vinto il torneo dev’essere sempre presente, classificato di diritto. E non lo dico per i nonni italiani, ma perché lo penso davvero».
«La Serie A per me è un classico Può aver perso un po’ di peso ma è sempre il top»