La Gazzetta dello Sport

IL FIGLIO DI GEORGE LANCIA GLI USA POI RIMEDIA BALE NON BASTA WEAH

Timothy, terzogenit­o del Pallone d’oro, è nato a New York: suo il gol dell’1-0 Il Galles pareggia su rigore con l’ex Real

- Davide Stoppini INVIATO A DOHA (QATAR)

a no, non pensiate che Gareth Bale abbia rovinato chissà quale festa, con l’1-1 su rigore che ha fissato il risultato di Stati Uniti-Galles. Perché questo 21 novembre a casa Weah lo ricorderan­no per sempre, di quei giorni che non si staccano più dalla pelle. Timothy, comunque vada, qualsiasi sarà il percorso della sua carriera, un giorno potrà dire di aver fatto una cosa meglio del papà, che un gol al Mondiale lo ha sempre e solo sognato. Timothy è Weah junior, per intendersi. Che corre, segna ed esulta per la gioia di George, che una volta da milanista si divertiva a dribblare gli avversari fino a vincere il Pallone d’Oro e oggi fa il presidente della Liberia. E ieri, per dire, se l’è goduta dal vivo questa serata, più che mai presente allo stadio. Cuore di papà, corsa e tecnica che un po’ saranno pure ereditarie o no? Perché a guardarlo bene, quel gol al minuto 36 del primo tempo, è sembrato di rivedere in Timothy le movenze di papà George: scatto a bruciare la linea difensiva di Page (disastrosa nell’occasione) e tocco felpato con il destro ad anticipare il portiere.

Passaporti È la storia del giorno, non c’è discussion­e: per la prima volta il figlio di un Pallone d’oro segna in un Mondiale. Di più ancora: lo fa con una maglia diversa da quella del papà, che ha dedicato una carriera (e ora anche il post, in politica) alla Liberia. Timothy è un ragazzo fortunato. Avrebbe potuto scegliere se giocare per la Liberia. O per la Giamaica di mamma Clar. O per la Francia, altro passaporto che possiede. Ha scelto le stelle e le strisce, lui che è nato nel 2000 a New York. Come dargli torto, oggi men che mai. È la faccia di una nazionale, gli Stati Uniti, che dà l’impression­e di poter dominare la partita col Galles. Che mastica calcio ma a volte non lo digerisce. Che tanto lavora per produrre, ma poi poco tira in porta. Il gol di Weah al 36’ era stato preceduto da un colpo di testa sul palo di Sargent al 9’, peraltro dopo un goffo “tentativo” di autogol di Rodon sulla prima buona giocata della partita di Weah, controllo e cross al volo da stropiccia­rsi gli occhi. Il Galles nel primo tempo di fatto non esiste, gli Usa sono un concentrat­o di tecnica e dinamismo specie in mezzo al campo che impression­a, con un McKennie ad ottimi livelli, un Musah che dimostra perché lo segue mezza Europa (Inter compresa) e il neo capitano Adams a destreggia­rsi in regia. Ah, poi Pulisic, l’uomo che segna il confine, che manda in porta Weah e decide quando è ora di passare dal bello all’utile.

La giocata Finisce il primo tempo e non vedi come possa girare la partita. Ma siamo al Mondiale, i campioni sono qui per questo. Campione è Gareth Bale, nullo fino al minuto 36 della ripresa, fuori forma e poco trovato dai compagni. Un pallone vagante, basta. Gareth che intuisce e piazza il corpo davanti allo sciagurato Zimmerman. Rigore conquistat­o, chi vuoi che lo calci? “Don’t take me home”, cantano i tifosi del Galles. È quasi una preghiera, una sconfitta sarebbe una sentenza. Bale li ascolta e col sinistro segna il quarto gol di sempre della storia del Galles in un Mondiale: l’ultimo, prima di ieri sera, era stato nel 1958, quando giocava un certo Pelé. Per la verità, il Galles era già cresciuto prima di arrivare al pareggio. Perché gli Stati Uniti sono la seconda squadra più giovane del Mondiale non a caso: un po’ di inesperien­za, un calo fisico, l’uscita dal campo di McKennie e, dall’altra parte, l’ingresso di Moore, che aveva permesso alla squadra di Page di fare il gioco che predilige, alzando il pallone. Prima del rigore c’era stata l’occasione di testa di Davies (20’) e quella dello stesso Moore (21’). Per gli Stati Uniti la bufera pareva passata. Non avevano fatto i conti con Bale: 41° gol in 109 presenze in nazionale e una scarsissim­a voglia di partecipar­e alle feste altrui. Pure se commoventi, come quella della famiglia Weah. Un punto a testa, il discorso qualificaz­ione resta aperto. I rimpianti, però, sono più per gli Stati Uniti che per il Galles.

Stesse qualità In Tim si rivedono le movenze del padre: scatto bruciante e tocco felpato per anticipare il portiere

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