DIRITTI VIOLATI Lo schiaffo al regime all’inno I calciatori restano in silenzio
Non era solo una partita di calcio. Non per loro, almeno. Non per i giocatori dell’Iran, che hanno deciso di non cantare il loro inno prima del via. Non per i tifosi presenti sugli spalti, che hanno mostrato striscioni chiarissimi: “Donna, vita, libertà”. Non per le tifose, che con i capelli orgogliosamente liberi hanno urlato ogni volta che Taremi e i suoi compagni si avvicinavano alla porta inglese. Non per chi ha capito che il messaggio partito dal Khalifa International Stadium è un atto di coraggio che coinvolge un numero sempre maggiore di persone, giorno dopo giorno.
Partecipazione Alla vigilia della sfida con l’Inghilterra il c.t. Carlos Queiroz, sempre misurato nelle dichiarazioni su un argomento così delicato, aveva garantito che i suoi giocatori sarebbero stati liberi di protestare. E così, mentre dagli altoparlanti uscivano le note dell’inno iraniano, i giocatori sono rimasti zitti. Sugli spalti i tifosi se ne sono accorti grazie alle immagini sul maxischermo e ci sono state reazioni rumorose. Qualcuno ha ipotizzato che fosse una contestazione nei confronti della squadra e lo stesso Queiroz dopo la gara si è espresso così: «Questi ragazzi vogliono giocare a calcio, non fategli lezioni o finte morali. Chi non vuole supportarli, dovrebbe restare a casa». In realtà molti tifosi avrebbero preferito che l’Iran non partecipasse al Mondiale in segno di protesta contro il regime degli ayatollah, ma ieri non hanno contestato i giocatori. Erano fischi contro un inno che non li rappresenta più. E quando Taremi ha segnato, il settore degli iraniani è esploso come se quelle reti servissero per raggiungere un risultato importante e invece potevano solo addolcire un po’ una sconfitta molto pesante.
Manifestazioni Questa partita è già diventata un simbolo perché il punteggio non è mai stato l’aspetto più rilevante, almeno per l’Iran. Negli ultimi mesi, ossia dopo la morte di Mahsa Amini a settembre, picchiata per non aver coperto adeguatamente la testa, le manifestazioni in tutto il Paese (e non solo) sono aumentate e hanno coinvolto un numero sempre maggiore di attivisti. Le cifre di manifestanti uccisi o arrestati ha coinvolto anche i più distratti. E ieri dagli spalti i tifosi iraniani urlavano il nome di Ali Karimi, ex centrocampista anche del Bayern, che sostiene le proteste e non perde occasione per mostrarsi contrario al regime della Repubblica islamica. Durante la partita, uno dei momenti vissuti con maggiore intensità dai tifosi iraniani è stato l’ingresso in campo di Sardar Azmoun, non solo uno dei due giocatori di maggior talento, ma anche un campione sempre pronto a manifestare in favore dei diritti umani.
L’effetto Dopo il gesto dei calciatori iraniani è purtroppo nato sui social un confronto con il non-gesto di Kane e altri capitani, che non indossano la fascia arcobaleno, simbolo contro le discriminazioni, per paura di sanzioni della Fifa. Il paragone non è corretto perché non si tratta di una decisione di Kane o di altri giocatori: le rispettive nazionali non vogliono correre rischi in un torneo corto, nel quale un’ammonizione può essere decisiva. Serve a poco stilare una classifica del coraggio o del valore umano, ma va invece celebrato lo splendido gesto dei ragazzi dell’Iran, che hanno sfruttato benissimo la grande occasione del palcoscenico mondiale. Lo sport ha saputo dare nel tempo un importante contributo alla storia. Non sappiamo adesso l’effetto che potranno avere le bocche chiuse del Khalifa International Stadium nel futuro dell’Iran. Ma quello che hanno avuto su tutti noi non svanirà in fretta. Potere di un silenzio più rumoroso di un urlo.