IL “9” SPAVALDO DALLA FAVELA A LEADER DI TITE
Vendeva ghiaccioli, in Qatar è il centravanti: «Sono al 200%, vogliamo la 6ª stella»
iondo e con la faccia da schiaffi. A un primo sguardo Richarlison appare come lo stereotipo del calciatore bravo e sbruffone. Più probabile che tanta sfrontatezza nasconda un fondo di insicurezza, con radici nell’infanzia complicata. Psicanalisi spicciola sulla pelle di colui che dovrebbe essere il centravanti del Brasile contro la Serbia e oltre. Tite ha chiuso le porte, si può assistere soltanto a uno scorcio di lavoro, però si è intuito lo stesso che lievita la figura di Richarlison, attaccante multi-posizionale, di base esterno, con varianti. Tite lo ha già fatto giocare come prima punta, Antonio Conte al Tottenham lo impiega dappertutto, ma nella Londra degli Spurs il pilone centrale è Kane e gli spazi sotto questo aspetto sono minimi. A 48 ore dalla partita, Richarlison sembra in prima fila. Sì, ma chi è Richarlison? È un ragazzo cresciuto in una favela brasiliana e diventato grande in Inghilterra, tra Watford, Everton e Tottenham.
Contro i tedeschi Nei giorni scorsi Richarlison, vestito con una maglia dei Lakers, si è fatto intervistare sul canale Youtube di una giornalista influencer e si è lasciato andare a dichiarazioni scoppiettanti: «Quando smetterò di giocare – ha detto -, mi comprerò un’isola e ci passerò molto tempo assieme a diverse donne, farò come Ronaldinho». I social abbondano di storie sui suoi amorazzi, veri o presunti. È un soggetto del desiderio di buona parte delle tifose, molte si accapigliano nel suo nome. Richarlison ha poi risposto a Mbappé, critico verso il calcio sudamericano: «Da noi ci sono nazionali deboli tanto quanto in
Europa. Mbappé provi a giocare in altura, per esempio in Bolivia». Ecologista per forza di cose, Richarlison ha spiegato perché non guida e si muove in treno: non ha la patente, in Inghilterra non ha superato il test di teoria, ha ancora qualche problema con la lingua. Ieri in conferenza stampa ha difeso Neymar, accusato dalla Bild, giornale tedesco, di essere arrogante. Neymar aveva pubblicato su Instagram una foto manipolata, un pantaloncino con sei stelle e non cinque, quanti sono i Mondiali del Brasile. «Chi ha scritto questa cosa è uno stupido – ha detto Richarlison -. Sogniamo la sesta stella e che gli piaccia o no siamo qui per questo. Neymar ha postato la foto perché vincere il Mondiale è il suo sogno e noi sogniamo con lui». Richarlison stravede da sempre per o Ney, più volte ha raccontato dell’emozione provata la prima volta assieme nel Brasile. Sempre ieri, Richarlison ha spedito un messaggio a Benzema: «Sono triste per lui, sono passato per quello spavento, immagino che cosa significhi lasciare una Coppa del Mondo. Auguro forza a lui e alla sua famiglia». E poi: «Non sono al 100%, ma al 200%. Ho goduto di dieci giorni per recuperare bene dall’infortunio (noie a un polpaccio, ndr) che mi ha fatto temere di saltare il Mondiale.
Adesso è arrivato il momento di essere felici, di divertirsi, di aiutare i miei compagni a far sì che la Seleçao vinca tutte le partite».
La parabola dello stagno
Richarlison è stato bambino in un ambiente permeato dal crimine, una favela di Nova Venecia, nello Stato di Espirito Santo in Brasile, e dentro una famiglia divisa in due, per la separazione dei genitori. Fin da piccolo, come ha raccontato a Players’ Tribune, ha studiato poco e lavorato molto. Ha venduto ghiaccioli e cioccolatini, pulito automobili, raccolto caffè nella calura. Inseguiva il sogno del professionismo, acciuffato a 17 anni quando pareva sfumato. Decisiva una giornata di pesca. La parabola evangelica di Richarlison: «Io e mio padre andammo a pescare in un terreno con tre stagni, ma il padrone ci disse di gettare gli ami soltanto in due. Rispettammo l’ordine e non tirammo su niente. All’ora di andare via, convinto di non essere visto, pescai nello stagno proibito e in pochi secondi un pesce abboccò. Nemmeno il tempo di esultare e mio padre venne investito a male parole dal proprietario. Decisi che papà non avrebbe dovuto più essere umiliato, ottenni un contratto con l’America e tutto cominciò». Tutto aveva rischiato di finire qualche anno prima quando Richarlison e un suo amico, di rientro da una partitella, finirono sotto la minaccia della pistola di un narcotrafficante, che li aveva scambiati per piccoli spacciatori non autorizzati. Una vita spericolata, con soprannome inadeguato: lo chiamano “o Pombo”, il Piccione, perché l’imitazione del pennuto è uno dei suoi pezzi forti, quando c’è da divertirsi tra amici o in ritiro. È un ragazzo che fa spogliatoio, sempre allegro e in movimento. La sua leggerezza è positiva, finché un brutto risultato non la rovini.