TRA GOL E RECUPERI È TUTTO ESAGERATO COME BELLINGHAM...
Una pioggia di gol – 12 in tre partite, otto in una sola – e un’onda anomala di recuperi: è il bilancio della giornata di ieri al Mondiale. Inghilterra-Iran si è chiusa con otto reti,
6-2 per gli inglesi, e con 27 minuti complessivi di prolungamento, 14 nel primo tempo e 13 nella ripresa. L’infortunio del portiere iraniano al principio del match è costato abbastanza minutaggio, ma non vale come spiegazione. Anche Olanda-Senegal ha avuto una coda di 9 minuti oltre il novantesimo. Usa-Galles, incontro di chiusura, si è trascinato per quasi 11 minuti. Una tendenza troppo netta per essere casuale, dietro l’apparenza c’è un’ indicazione forte della Fifa, come detto mesi fa da Infantino. Stop alle manfrine e alle finzioni, nulla di quel che si perde andrà sprecato, e pazienza se il recupero assumerà i volumi di quasi due supplementari, come in Inghilterra-Iran. È una marcia di avvicinamento al tempo effettivo?
L’inno ripudiato dall’Iran è stata l’emozione più forte. Ieri pomeriggio, ora di Doha, quando i giocatori della nazionale in maglia rossa si sono rifiutati di cantare, in tanti si sono sentiti iraniani. Un gesto politico potente, un messaggio al mondo: da mesi in Iran i giovani, specie le ragazze, si ribellano alla teocrazia degli ayatollah, alla loro ferocia medioevale, e inseguono l’utopia della libertà,
dell’affrancamento dall’oscurantismo. L’Inghilterra ha vinto per 6-2 e non poteva finire in altro modo, abissi tecnici separano le due squadre. Non c’è stata partita, ma l’Iran merita ogni comprensione, i suoi giocatori avevano il cuore spaccato e la mente altrove. Medhi Taremi ha segnato due gol, il primo con un tiro bello e potente, il secondo su rigore. Azmoun, giocatore simbolo, solidale con i rivoltosi, ha colpito una traversa. Taremi gioca nel Porto avversario dell’Inter negli ottavi di Champions, Simone Inzaghi avrà preso nota. Contesto ingombrante, avversario in balia dei sentimenti: è difficile tarare l’Inghilterra, a tratti troppo bella e dominante. Quante volte ci siamo detti che sarebbe stata la volta buona dell’Inghilterra, quante volte ci siamo scottati. Gli inglesi hanno vinto in una sola occasione, il Mondiale del 1966 a casa loro, e per avvicinarsi a un altro trofeo hanno dovuto aspettare il secondo Europeo in patria, nel 2021. Sono stati battuti dall’Italia soltanto ai rigori, forse sono pronti. La storia manda dei segnali: il Qatar è un ex protettorato britannico, indipendente dal 1971, particolari minimi che vanno nella direzione di un’Inghilterra almeno da podio. Sembra che i giovani di Gareth Southgate abbiano salito un altro gradino della scala. I nomi sono i soliti: Bellingham, Saka, Rice, Mount e Rashford, che giovane giovane non è più. Ha brillato Jude
Bellingham, 19enne di potenzialità non ancora classificabili, centrocampista universale. In giornate come ieri,
Una tendenza che non è casuale: con i tempi allungati spariranno manfrine e finzioni?
Bellingham sembra un giocatore prestato al presente, planato dal futuro per mostrare come si giocherà tra dieci o vent’anni. Manterrà quel che promette? La domanda vale per l’Inghilterra intera.
Olanda-Senegal è stata decisa dalle incertezze di Edouard Mendy, il portiere senegalese del Chelsea. Un equilibrio costante, spezzato verso la fine dalle indecisioni africane. L’Olanda ha vinto alla maniera di Van Gaal, con la strategia del logoramento. Ha resistito alla fisicità del Senegal fino a individuare e colpire il punto di rottura.
Stati Uniti-Galles si è chiusa in parità. Americani in vantaggio con Timothy Weah, figlio di George, ex centravanti del Milan, Pallone d’Oro ‘95. Weah senior, oggi presidente della Liberia, non ha mai giocato un Mondiale perché il suo Paese non si è mai qualificato. Weah junior è nato a New York, ha cittadinanza americana e francese, e ha subito colmato la lacuna familiare. Gareth Bale ha fabbricato il pareggio gallese, ha sempre quest’aura del fenomeno che sarebbe potuto essere e che non è stato. L’incompiutezza come scelta.