La Gazzetta dello Sport

MESSI LEO GOL

Esordio da incubo a Doha, Albicelest­e subito avanti con un rigore della Pulce, poi gli uomini di Renard fanno l’uno-due della storia E spuntano i soliti fantasmi POI È SOLO ARABIA RIBALTATA L’ARGENTINA E IL SOGNO È GIÀ IN SALITA

- Di Luigi Garlando INVIATO A DOHA (QATAR) MALEDIZI Mani nei capelli

Non sono Mondiali, sono stazioni della via crucis. Lionel Messi, il piccolo dio, è caduto nuovamente. Eppure stavolta sembrava un’altra storia. E’ stato lo stesso Leo a convincerc­i che lo fosse srotolando una serie di buone sensazioni e la fede cieca in una squadra imbattuta da 36 partite che ha vinto l’ultima Coppa America e sconfitto l’Italia nella Finalissim­a. Così convincent­e, Messi, che i giornalist­i alla vigilia lo hanno applaudito e il popolo ieri lo ha venerato nella distesa sconfinata dello stadio. Una marea biancocele­ste, tamburi, canti, balli, anche al ritmo di “Bella ciao”, centinaia di magliette con il 10, su bandiere e lenzuola la faccia di Maradona che si mescolava con quella di Messi e diventavan­o una cosa sola. Il dio che conquistò il mondo nel 1986 e il discepolo che lo imiterà. Il popolo argentino, che s’incamminav­a allegro verso lo Stadio Lusail, che sembra un’enorme cesta di pani e pesci, era assolutame­nte certo del miracolo. E la partita, in un catino caldo di 80.000 anime, sembrava confermarl­o. Dopo 2’ Messi ha sfiorato il gol, dopo 10’ ha portato in vantaggio i suoi realizzand­o con sicurezza un rigore che altre volte lo aveva visto tremare. Partita già spianata, tutto come previsto. Sembra. E invece la storia si complica e il destino deraglia. Perché? A fine partita la Pulce lo spiegherà lucidament­e: «Non abbiamo giocato come sappiamo. Ci siamo messi a sparare palloni lunghi. Sapevamo che loro hanno lavorato tanto sul fuorigioco, ma ci siamo fatti prendere dalla frenesia». E dalla febbre del debutto. Ha ragione. A monte, ci sta l’infelice azzardo del c.t. Lionel Scaloni.

Scaloni stecca «Giocare come sappiamo» significa palleggiar­e. L’infortunio di Lo Celso ha tolto più di quel che sembra: geometrie ed equilibrio. Nella prova generale con gli Emirati Arabi, Mac Allister aveva dato buone garanzie di supplenza e invece il tecnico ha cambiato tutto all’ultimo momento, quando, data la tensione, servirebbe­ro più certezze che scommesse. Dentro Gomez e 4-2-3-1. L’idea era allargare il campo davanti a una squadra chiusa, ma il Papu e Di Maria sono stati i peggiori, mentre De Paul e Paredes hanno preso a martellare lanci: una verticalit­à isterica, come si è lamentato Messi. Argentina 10 volte in fuorigioco. Quando Scaloni paragona la qualità di Paredes a quella di Pirlo, bestemmia. La verità è che De Paul e Paredes sono gregari di lusso, non di più. E filtrano così e così. Non possono governare da soli la mediana di una squadra ambiziosa. Hanno bisogno di un Verratti. Davanti a tanta difficoltà, l’orgogliosa Arabia Saudita, che è una squadra ben organizzat­a e ha una volpe saggia in panchina come Hervé Renard, ha preso coraggio fino a covare l’impresa storica. I cinque minuti della ripresa che portano al ribaltone resteranno nella storia brutta dell’Argentina. Chiamarlo Lusailazo suona male, ma rende bene l’idea. E’ la loro Corea. Minuto 3’: Saleh Al-Shehri s’ingoia un disarmato Romero e fa 2-1. Minuto 8’: Salem Al-Dawsari dipinge un desto a giro che muore all’incrocio: 2-1. Saleh e Salem: saluti a tutti. Allo Stadio Lusail era annunciata l’apoteosi del numero 10: eccola. Ma il numero è sulla schiena verde di un Figlio del Deserto che aveva già fatto storia a Russia 2018. Con un gol al ’95 all’Egitto, aveva regalato all’Arabia Saudita la prima vittoria in un Mondiale dal 1994. Ora, in patria, chi se lo dimentica più il suo nome?

Festa nazionale A buoi scappati, Scaloni prova a rimettere ordine con il 4-3-3 e un palleggiat­ore in più (Fernandez), ma ormai l’Argentina ha perso la testa. Attacca disordinat­a e confusa, senza creare una vera occasione limpida. Al contrario l’Arabia fiuta il passaggio della Storia e ci sale a bordo. Il portiere Al-Owais diventa un gigante, i compagni si buttano nel fuoco per proteggerl­o. Dopo un recupero infinito, arriva la gloria. Per decreto del Custode delle due Sacre Moschee, il Re Salman bin Abdulaziz Al Saud, oggi in Arabia Saudita è festa nazionale. E il piccolo dio di Rosario? Ha concluso la partita con gli occhi vuoti e sperduti, come troppe volte nei Mondiali precedenti. Non è riuscito a ricompatta­re la squadra nella ripresa. Ha vagato per il campo come un’eremita chiedendo la carità di un pallone. Come Lautaro, alimentato con il cucchiaino. Leo ha sparato una buona punizione tre metri sopra il cielo, come ha sempre fatto quando aveva l’autostima sotto i tacchetti. L’ultimo pallone lo ha giocato nell’area araba tentando di scartarli tutti, come fosse Diego contro gli inglesi. Un Figlio del Deserto gliel’ha portata via e ha avviato la festa che proseguirà oggi nelle piazze e nelle strade del suo Paese. Arabia prima del girone, davanti a Messico, Polonia e Argentina. Troppa grazia.

Scaloni cambia modulo e paga caro. De Paul e Paredes, gregari di lusso Male anche Di Maria

Notti magiche Il popolo argentino è sfollato triste dallo Sta

dio Lusail con la paura di dover già dire “Bella ciao” alla Coppa del Mondo. Ora, sulle bandiere e sulle lenzuola dipinte, Maradona e Messi sono ben distinti, non sovrapponi­bili: uno è l’eroe sacro di un Mondiale vinto, l’altro è troppo distante dall’emulazione. Leo ha imitato Diego solo nello shock di un traumatico debutto mondiale: Argentina-Camerun 0-1, Italia ’90; Argentina-Arabia Saudita 1-2, Doha ‘22. Oman Biyik e Salem Al-Dawsari hanno firmato il gol del trionfo quasi allo stesso minuto, a inizio ripresa. Le buone sensazioni della vigilia non servono più a nulla, così come i 36 risultati utili messi in fila. Il record resta a Mancini. Ora conta solo mangiare l’erba e avventarsi su Messico e Polonia. Le parole di Messi prima di lasciare la cesta dei pani e dei pesci: «E’ dura da accettare. Non ci aspettavam­o di iniziare così. Alle gente dico di crederci ancora, perché questo gruppo non la lascerà a piedi». Il piccolo dio chiede altra fede. Tra tre giorni c’è il Messico. Il lasso di tempo di una resurrezio­ne.

Leo sconsolato: «Troppi palloni lunghi e frenesia Ma questo gruppo non lascia a piedi i tifosi»

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Le due facce della prima mondiale. I giocatori dell’Arabia Saudita increduli e in ginocchio per pregare, quelli dell’Argentina a testa bassa dopo l’inattesa sconfitta
AP Gioia e disperazio­ne Le due facce della prima mondiale. I giocatori dell’Arabia Saudita increduli e in ginocchio per pregare, quelli dell’Argentina a testa bassa dopo l’inattesa sconfitta
 ?? ?? La delusione di Leo Messi, 35 anni, durante il match contro l’Arabia Saudita
La delusione di Leo Messi, 35 anni, durante il match contro l’Arabia Saudita

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