TUTTI A LANCIARE MESSAGGI POI UN CARTELLINO GIALLO FA PIÙ PAURA DI UN REGIME
Se un cartellino giallo fa più paura dei carri armati di piazza Tienanmen o delle armi da fuoco delle forze di sicurezza di Teheran… Se basta la minaccia di un’ammonizione per fermare una protesta, morbida quanto simbolica, contro le leggi omofobe e liberticide del Qatar, allora forse è del tutto inutile questo gran parlare, a tempo scaduto, di un Mondiale che non si doveva disputare lì. La verità è che i coraggiosi giocatori dell’Iran sono stati lasciati soli nel loro potentissimo silenzio anche dai colleghi calciatori, non soltanto dalle istituzioni politiche e sportive che si rendono complici dei Paesi che calpestano i diritti civili. Del resto, è singolare che in dodici anni, da quando fu assegnata
questa edizione dei campionati del mondo, nessuno degli addetti ai lavori abbia mai posto il problema, nonostante i risultati delle inchieste giornalistiche britanniche sulle vittime e le condizioni disumane dei lavoratori immigrati o di quelle americane sui casi di corruzione, oggetto pure di indagini e processi penali conclusi con numerose condanne, che hanno prodotto la scelta del Qatar quale Paese ospitante.
Il presidente della Fifa Infantino si è sentito arabo, africano, gay, disabile e migrante soltanto per un giorno, quello in cui ha scopiazzato un discorso già pronunciato da altri, l’ultimo Andrew Cuomo, da governatore dello Stato di New York, se non si vuole risalire al “Ich bin ein Berliner” di JFK.