BURRUCHAGA «ARGENTINA, DIEGO È QUI E TI DARÀ UNA MANO UN GRAN FINALE PER MESSI»
«È sempre una gioia ricordare quel mio gol dell’86 ispirato da Diego. Che era felice per me»
Sono spuntati tutti insieme qui a Doha, come gli antichi eroi del baseball dal campo di grano di Kevin Costner nel film “L’uomo dei sogni”: El Gringo Giusti, El Cheche Batista, El Negro Henrique, El Poeta Valdano, El Cabezon Ruggeri, El Chiqui Tapia, El Bichi Borghi, El Burru Burruchaga. Il pretesto, la copertura, era una mattinata di padel, in realtà si trattava di un rito magico: ritrovarsi, riallacciare la catena per evocare il fluido magico dell’86 da trasmettere a una Nazionale ammaccata; invocare lo spirito di Diego Maradona sulla testa di Leo Messi. Dell’apoteosi messicana, il Pibe de Oro è stato il dio, ma il pallone della gloria lo ha calciato in rete El Burru. Da allora, da 36 anni, nessun altro argentino ha più regalato il mondo al suo popolo con un gol. Partiamo da qui. Città del Messico, Stadio Azteca, 29 giugno 1986, finale della Coppa del Mondo. All’84’, Argentina e Germania stanno pareggiando 2-2. Maradona riceve palla a centrocampo, circondato da un bosco di tedeschi.
Burruchaga, se lo aspettava quel passaggio?
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«Fosse stato un altro, no. Ma era Maradona. Lui era un’altra cosa. Vedo che stoppa la palla con il corpo rivolto a Enrique. Io ho il campo aperto davanti. Grido: “Diego! Diego!” Non mi sente, ma con gli occhi che aveva sulla nuca mi vede e mi fa fare la corsa più felice di tutta la mia vita».
Metà campo da attraversare coi cingoli di Briegel che convergono pericolosamente su di lei.
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«Ma io non me ne sono accorto. Io ho guardato il portiere e mi sono detto: “Devi arrivare fino a là in fondo”. Ho cancellato tutto il resto, anche Valdano che era in buona posizione tutto solo. Jorge, che ha il cervello fino, è stato bravissimo a non chiamarmi la palla. Sapeva benissimo che mi avrebbe distratto e rallentato la corsa. Sono arrivato fino in fondo e ho fatto gol».
Poi si è inginocchiato a terra.
«Il cielo. Ricordo soprattutto il cielo. Ho alzato gli occhi e pensato al mio vecchio che non voleva che giocassimo a pallone. Avevo 12 fratelli, tutti appassionati di calcio, ma eravamo una famiglia umile, povera, c’era bisogno di braccia da lavoro più che di piedi buoni. Ho guardato il cielo: “Hai visto, papà?”. Il primo ad abbracciarmi è stato El Cheche Batista».
3 Il secondo Maradona.
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«Diego si era arrabbiato dopo il pareggio della Germania e ce ne aveva dette un paio… Eravamo andati subito in vantaggio di due gol. Non dico fosse una partita facile, ma l’abbiamo sempre tenuta in pugno, poi con due tiri i tedeschi hanno pareggiato. Diego vede Valdano abbacchiato, dietro di noi e gli dice: “Guarda che noi adesso vinciamo. Tranquillo”. E ci ha fatto vincere. Dopo il mio gol, si è allontanato, ha stretto i pugni e ha gioito per conto suo guardando il cielo anche lui. Vederlo così felice per un gol mio è stato un orgoglio».
3 Si emoziona ancora a rivedere quelle immagini o si è un po’ stancato?
«Nessuna stanchezza, anche se lo racconto da 36 anni e ogni giorno incontro un argentino che mi chiede di farlo. Mi piace ricordare e rivedere quel gol, i due mesi perfetti della mia vita: la prima convocazione a un Mondiale, la cavalcata fino alla finale e il gol decisivo per il trionfo. Di più non si poteva».
3Oggi è il secondo anniversario della morte di
Diego.
«Abbiamo fatto l’ultima chiacchierata un paio di mesi prima che morisse. Ci eravamo ritrovati quando era tornato in Argentina per allenare il Gimnasia di La Plata. Non posso dire che tra noi ci fosse la confidenza di una vera amicizia, forse siamo stati più amici in campo che fuori. Ma ci legavano il grande rispetto e tanta strada percorsa insieme».
3 Non ha mai provato a portarla a Napoli?
«Sì, dopo il Mondiale. Ho parlato a lungo con la società, ma non abbiamo trovato l’accordo».
Che vuoto ha lasciato Diego nel calcio?
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«Enorme, incolmabile e nel primo Mondiale senza di lui lo si avverte ancora di più. Se ne è andato un mito, una leggenda irripetibile, il calcio ha perso il tesoro più prezioso. Però, e lo dico senza retorica, con convinzione, in realtà non lo abbiamo perso. Io sento che Diego è qui con noi, da qualche parte».
Buona notizia per l’Argentina che avrebbe bisogno del suo spirito.
«Alla vigilia, io lo avevo ricordato: la prima partita di un Mondiale è sempre la più difficile. L’Arabia Saudita ha giocato con molta decisione, con grande pressione e ha sorpreso l’Argentina che forse ci ha perso più che guadagnato dal rigore segnato così presto. Ha smesso di giocare come ha sempre fatto, ha perso attenzione e rabbia. Non è normale farsi annullare tre gol e cadere così tante volte in fuorigioco. I due gol all’inizio del secondo tempo sono
Nell’86
Diego vide Valdano sfiduciato e gli disse: “Guarda che noi adesso vinciamo” Diego e Leo
Non sono paragonabi li, ma Messi meriterebbe di chiudere bene una splendida carriera
stati uno choc. Abbiamo subito in modo troppo passivo quei dieci minuti di furia araba e poi non siamo stati più capaci di riprendere in mano la partita».
La scelta del Papu Gomez? Forse, con un centrocampista in più, l’Argentina avrebbe coperto meglio il campo e sofferto meno l’aggressione araba.
«Da fuori è facile parlare… Invece per farlo bisognerebbe sapere cosa succede dentro. Il Papu non è andato male il primo tempo, il problema non è stato lui, è stata la squadra che ha giocato poco».
Dybala nel finale non poteva servire, vista la serataccia di tutti i trequartisti?
«La verità è che per una prestazione del genere 5 sostituzioni erano troppo poche...».
Non sono pochi due attaccanti di ruolo? Lautaro e Alvarez.
«Io il Cholito Simeone lo avrei portato».
Che cambi si aspetta contro il Messico?
«Non sono l’allenatore e non me la sento di fare nomi. Dico solo che la finale del Mondiale non è il 18 dicembre, ma è domani. La finale è Argentina-Messico e l’Argentina deve vincerla. Dico anche che l’Albiceleste può ancora conquistare la coppa, come ha fatto la Spagna nel 2010 che ha perso la prima contro la Svizzera e poi ha trionfato. Nel ’90 anche noi abbiamo perso al debutto con il Camerun poi siamo arrivati in finale. Diego è qui e darà una mano all’Argentina».
3Favorite?
«Per me restano Argentina, Brasile e Francia. Mi hanno deluso la Germania che vedevo un gradino sotto e il Belgio che ha subito tanto il Canada. La Spagna invece c’è e diverte».
In cosa Messi è più lontano da Maradona?
«Sono imparagonabili. Epoche troppo diverse. Diego era più carismatico fuori dal campo, ma oggi Leo lo è in campo più di prima. Comunque, la cosa che conta è una sola: che negli ultimi 40 anni il dio del calcio sulla terra è stato un argentino. Messi meriterebbe il Mondiale per coronare la sua splendida carriera».
Andrà a parlargli in ritiro, qui a Doha?
«No, io non c’entro. Non voglio disturbare. Ho un telefonino, posso mandare messaggi».
Il Burru, con pudore elegante, si è limitato al rito magico del padel con gli eroi dell’86. Al resto ci penserà Diego, ovunque sia.